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Primo piano

Un anno senza Luca Attanasio, senza mai dimenticare Vittorio e Mustapha: tre uomini di pace

Non è facile scrivere oggi. Quando ti tocca ricordare una persona cara strappata alla vita con inusitata violenza, qualcuno con il quale si è condiviso esperienze e passioni, diventa un esercizio doloroso. Come accade quando scrivo di Luca Attanasio che per me è sempre stato ‘Luca’, prima che ‘l’ambasciatore Attanasio’. Mai mi sarei aspettata che proprio lui, diplomatico…

Non è facile scrivere oggi. Quando ti tocca ricordare una persona cara strappata alla vita con inusitata violenza, qualcuno con il quale si è condiviso esperienze e passioni, diventa un esercizio doloroso.
Come accade quando scrivo di Luca Attanasio che per me è sempre stato ‘Luca’, prima che ‘l’ambasciatore Attanasio’.
Mai mi sarei aspettata che proprio lui, diplomatico accorto e scrupoloso, abituato ad operare in aree difficili, seppur intraprendente e coraggioso, potesse essere vittima di un evento tanto tragico e cruento.
Luca sapeva bene che la Repubblica democratica del Congo era uno dei paesi più pericolosi al mondo e mai avrebbe agito incautamente in un contesto simile.
È proprio questa convinzione mi ha spinta, sin dal primo momento, ad andare fino in fondo in una vicenda da subito apparsa dai contorni oscuri.
Con persone fidate e ben informate del luogo abbiamo avviato un’inchiesta investigativa giornalistica che ha permesso di ricostruire, ancor prima delle indagini degli inquirenti congolesi, cosa fosse accaduto nelle ore precedenti e successive a quel maledetto 22 febbraio del 2021 costato la vita anche al carabiniere Vittorio Iacovacci e all’autista del World food programme Mustapha Milambo.
Abbiamo cercato di dare un contributo fattivo al raggiungimento della verità e della giustizia. Un impegno che va oltre il giornalismo, in linea con la campagna #veritaperlucavittoriomustapha lanciata il 27 febbraio del 2021 dal nostro magazine.
Tutti noi ci auguriamo che il nostro Paese faccia la sua parte affinché venga garantita piena luce sulla loro uccisione. Che sia una ‘questione’ prioritaria.
Per chi scrive, lo sarà.
Fino in fondo.
Spronata da un’eco che da ben 12 mesi rimbomba dentro e amplifica la volontà di andare avanti nella ricerca di verità.
Un rumore costante e forte, non come il borbottio di alcune istituzioni che forse non investono abbastanza nella richiesta di giustizia.
Quel borbottio che non dice quanto avrebbe espresso senza remore se a morire in Congo, in un agguato, fosse stato un ragazzo andato in Africa per aiutare il mondo: avrebbe detto che se l’era cercata.
Perché un ambasciatore incontra uomini potenti, classe dirigente, tesse relazioni con ministri e imprenditori, non si avvia su una strada sterrata in mezzo a una foresta solo per andare a vedere cosa si può fare per chi muore di fame. E se lo fa tutto deve essere previsto, tutto deve essere sotto controllo, mezzi blindati e droni compresi.
Mi dispiace, ma il mondo non funziona così. E meno male.
Anzi vorrei dire a chi anima quel borbottio che Luca Attanasio era esattamente quel tipo di ambasciatore, che la storia del nostro paese più volte ci ha regalato: uomini di grande competenza ma soprattutto di straordinaria umanità, necessaria a distinguere tra ciò che è giusto e ciò che non lo è e a schierarsi dalla parte di quelli che è doveroso aiutare.
Da quando era arrivato in Congo Luca aveva da subito mostrato interesse verso le popolazioni locali più disagiate.
Si preoccupava della gente, di come poter andare incontro alle necessità delle comunità più in sofferenza e degli ultimi, a cominciare dai ragazzi di strada di cui si occupava insieme a sua moglie Zakia Seddiki, madre delle sue tre bambine, attraverso l’associazione Mama Sofia.
Chiunque lo incontrasse, percepiva all’istante la bontà e la semplicità che emanava.
Portare solidarietà a chi operava in luoghi estremamente disagiati era per lui una priorità, per quanto ostico e pericoloso fosse.
Qualcosa di molto diverso da quanto qualcuno pensa e racconta della vita dei diplomatici.
Il terribile attentato avvenuto nell’est del Congo conferma, ancora una volta, la dedizione qualificata e incondizionata, fino al dono della vita, di uomini delle Istituzioni e giovani delle Forze armate come Iacovacci, inviati dal nostro Paese a svolgere missioni che sono sempre azioni di pace, essendo l’Italia. com’è scritto nero su bianco nella Costituzione, una Repubblica che ripudia la guerra.
Servitori dello stato e costruttori di ponti che rappresentano l’immagine dell’Italia migliore.

 

 

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