I presidenti di Sudafrica, Egitto, Uganda, RDC, Senegal e Zambia partiranno per Mosca e Kiev per esporre al presidente russo e a quello ucraino i dettagli di un potenziale piano di pace, per mettere fine al conflitto che va avanti dal Febbraio 2022.
Missione di pace. E’ la prima volta che i paesi africani intervengono direttamente in un conflitto al di fuori del continente.
L’annuncio arriva per bocca del Presidente sudafricano Cyril Ramaphosa, dopo più di un anno di guerra in Ucraina, i leader africani hanno deciso di guidare e facilitare quello che sperano possa essere l’inizio dei colloqui di pace tra Russia e Ucraina.
“Le mie conversazioni con i due leader hanno dimostrato che sono entrambi pronti a ricevere i presidenti africani e a discutere su come porre fine a questo conflitto […] il suo costo in vite umane e il suo impatto sul continente africano», ha detto Ramaphosa, martedì 16 Maggio in una conferenza stampa a Città del Capo.
L’approccio cauto dell’Africa verso il conflitto russo-ucraino
Il piano, in discussione da Gennaio, studiato e realizzato dalla Fondazione Brazzaville – una onlus indipendente fondata nel 2014 e dal 2018 consulente dell’Onu, che ha come finalità la risoluzione dei conflitti, la salvaguardia dell’ambiente e la conservazione della natura in Africa – è stato accolto con favore dal Segretario delle Nazioni Unite Antonio Guterres e dall’Unione Africana.
Molto probabilmente la decisione di puntare su un gruppo ristretto di paesi è stata una mossa voluta, tesa ad evitare il coinvolgimento dell’istituzione, che avrebbe preteso il coinvolgimento di tutti i 55 membri, tempistiche molto più lunghe e dinamiche pachidermiche.
Una notizia senza precedenti, viste le pressioni esercitate dall’occidente su Pretoria e molti altri paesi africani, accusati di non aver condannato (o di aver esercitato l’astensione) in sede ONU, l’aggressione russa in Ucraina.
All’ultima votazione all’Assemblea generale dell’Onu, volta a riconoscere l’aggressione militare della Russia, il Sudafrica, l’Uganda e la Repubblica Democratica del Congo si sono astenuti, il Senegal non ha partecipato, mentre Egitto e Zambia hanno votato a favore.
Ramaphosa ha affermato che il Sudafrica non si lascerà trascinare “in una competizione tra potenze mondiali”. Una risposta sibillina alle accuse dell’ambasciatore statunitense a Pretoria, Reuben Brigety, di aver fornito armi alla Russia e di non aver preso una posizione chiara in merito al conflitto.
Relazioni, quelle con la Russia, storicamente forti e attualmente salde, anche per l’appartenenza al gruppo BRICS, insieme a Cina, India e Brasile il cui XV congresso è previsto proprio a Johannesburg, dal 22 al 24 Agosto.
C’è da dire che il continente non ha avuto una presa di posizione netta rispetto all’aggressione russa. Molti sono stati i paesi che hanno scelto l’astensione in merito al conflitto, altri invece come l’Eritrea o il Mali hanno espresso netta contrarietà.
La missione, almeno a detta del Presidente sudafricano, si terrà il prima possibile, probabilmente a margine del summit Russia-Africa previsto per la fine di Luglio, anche se indiscrezioni vorrebbero i presidenti africani risoluti ad anticipare le tempistiche.
I sei paesi sarebbero stati scelti per rappresentare tutte le posizioni interne al continente. La diversità di vedute e le diverse posizioni in sede di assemblea generale delle Nazioni Unite sono li a testimoniarlo.
La guerra tra Russia e Ucraina pesa anche sull’economia africana
Nonostante si trovino a migliaia di chilometri dall’Ucraina, i Paesi africani hanno risentito e risentono oggi dell’impatto della guerra a causa dell’aumento dei costi dei prodotti di base.
Come ha ricordato la Fao, la Russia e l’Ucraina prima del conflitto assicuravano il 24% della fornitura mondiale di grano. Oggi a lievitare a livello globale sono proprio i costi per la farina e per i fertilizzanti utilizzati in agricoltura.
Questo ha generato un impatto devastante sul nord Africa con il Marocco e l’Egitto tra i principali importatori di grano dall’Europa orientale; nel Sahel, dove i prezzi hanno oscillato in maniera vertiginosa; nel Corno d’Africa (Sudan, Etiopia, Kenya, Somalia) dove i prezzi di pane e olio di girasole sono aumentati del 40% rispetto a un anno e mezzo fa; nella Repubblica Democratica del Congo dove un chilo di zucchero oggi costa un terzo in più del prezzo antecedente la guerra in Ucraina; fino ad arrivare in Malawi, dove l’aumento dei prezzi di olio, riso e carburante hanno fatto impennare il paniere alimentare, proprio a causa del costo lievitato dei trasporti.
Stessa cosa per l’Africa occidentale, con la Nigeria dove a preoccupare è l’aumento del costo del carburante, che come in un circolo vizioso alimenta l’inflazione che a sua volta spinge in un’accelerazione forzata l’aumento dei costi dei beni di prima necessità.
Problemi di carattere economico e geopolitico che vanno a sommarsi a quelli già presenti, come le vaste sacche di povertà, l’insicurezza, i conflitti interni, i flussi migratori verso l’Europa, il terrorismo.
L’Africa non vuole rimanere inerme di fronte alla guerra in Ucraina, né vuole rimanere in balia degli eventi; lentamente o a fatica, vuole ritagliarsi un ruolo nel mondo. Forse, è solo l’inizio.