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Tunisia, il colpo di stato costituzionale di Kaïs Saïed: a mali estremi, estremi rimedi?

Non bisogna avere paura delle parole: Kaïs Saïed ha appena superato seriamente le sue prerogative perpetrando un vero colpo di stato. Hichem Mechichi è senza dubbio il peggior primo ministro che la Tunisia abbia avuto dal 1957. Con la sua incompetenza, il suo egoismo e il suo servilismo, è il primo responsabile della peggiore catastrofe sanitaria della storia recente del paese. La formazione politica che lo ha sostenuto, composta essenzialmente da Ennahdha e dai suoi affiliati, non è molto meglio. Ha una responsabilità schiacciante per l’impasse che il paese vive sin dal 2011. Non ho nessuna simpatia per nessuno dei due. Il regime politico messo in atto nel gennaio 2014, articolato con un sistema di voto surreale, è in gran parte responsabile dell’attuale stallo e decadenza. Molti di noi hanno lottato contro di essa, tra il 2011 e il 2014, e avevamo ragione! Non si tratta di difenderlo oggi, non lo merita. Il regime parlamentare è una calamità.

In queste condizioni, di fronte al blocco, possiamo considerare che il colpo di stato costituzionale di Kaïs Saïed sarebbe “un male minore”? Mi sembra che questa sia l’unica questione rilevante oggi. La risposta è chiaramente no. Kaïs Saïed rappresenta un pericolo ancora maggiore. Sta approfittando delle tragiche circostanze di una pandemia che ha tardato a combattere, per assecondare i suoi deliri di onnipotenza e di sogni da “Repubblica dei Comitati Popolari”. Sfrutta cinicamente il legittimo e comprensibile malcontento della popolazione, soprattutto dei giovani, e l’ostilità del Parlamento, per giocare le sue carte. È un demagogo di classe mondiale, che ha inscenato l’arrivo di centinaia di tonnellate di aiuti medici internazionali e centinaia di migliaia di dosi di vaccini, principalmente dalla Francia e da altri paesi amici, per prendersi il merito. Qualcuno ha mai sentito parlare una sola volta negli ultimi mesi della lentezza della campagna di vaccinazione, dell’impreparazione del governo che non ha potuto ordinare le dosi prima della catastrofe sanitaria? La risposta è no. Non ha fatto nulla. Assolutamente niente. Il suo record dall’ottobre 2019 è sottile come una cartina da sigarette…
Kaïs Saïed è un uomo con un’idea, un’idea fissa. Diamogli credito per questa onestà: se sfrutta cinicamente le circostanze, non ha mai fatto mistero dei suoi piani. Ma non è l’uomo adatto alla situazione. Non ha nessun progetto, nessuna visione, nessuna competenza e nessun entourage per far uscire la Tunisia dal baratro in cui si trova. Oggi è un passo avanti rispetto ai suoi avversari. Ma, supponendo che la sua conquista del potere abbia successo, questa capacità non lo aiuterà a negoziare le pericolose scadenze che lo attendono. Non ha alleati. Il FMI, l’Europa o la Francia non gli daranno alcun credito. Gli investitori, nazionali e internazionali, non vorranno scommettere un dinaro o un euro in nuovi prestiti da uno stato in bancarotta, mentre la Tunisia avrebbe bisogno da 15 a 20 miliardi di dinari per completare il suo bilancio nel 2021! Cosa succederà allora? Porre la domanda vuol dire in qualche modo rispondere. L’ossessione e l’impulsività non possono rimpiazzare la strategia politica quando si è responsabili del destino di 12 milioni di persone.
Quindi cosa si può fare? Un ritorno allo status quo è fuori questione. A parte la diarchia al vertice dello stato, il paese non può aspettare fino al 2024 e improbabili nuove elezioni. La politica deve prendere il sopravvento. Anche se la formula è stata abusata, bisogna imporre un governo di salvezza nazionale, che sia veramente apolitico, e veramente competente e accettabile a livello internazionale. La missione di questo governo sarebbe quella di gestire la doppia crisi, sanitaria ed economica, di creare le condizioni per una revisione della Costituzione e del codice elettorale, magari formulando diversi progetti, di organizzare nuove elezioni legislative al più tardi a metà del 2022 e, durante questo periodo, garantire la democrazia e l’esistenza di partiti legali. Tutti. Compreso e prima di tutto Ennahdha. Le elezioni legislative potrebbero essere abbinate a un voto sulla revisione costituzionale. Kaïs Saïed potrebbe rimanere a Cartagine, o rimettere in gioco il suo mandato, se lo desidera. La sua partenza non può essere un prerequisito.
La classe politica – o ciò che ne rimane -, le personalità nazionali e le organizzazioni nazionali devono svegliarsi dal loro letargo. Ora hanno una pesante responsabilità. Devono trovare una via d’uscita dalla crisi che permetta a (quasi) tutti di salvare la faccia e limitare i danni a livello internazionale. Questa formula per porre fine alla crisi politica sarebbe, senza dubbio, quella che meglio si adatta allo spirito civico dell’esercito tunisino, i cui capi devono trovarsi in una situazione particolarmente scomoda in questo momento.
Traduzione a cura di Marco Cesario)
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