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Sudan, stop a colloqui di pace a Jedda. Le conseguenze del conflitto in un report

La flebile speranza di un cessate il fuoco che potesse portare a un reale e concreto processo di pace in Sudan si è infranta con l’annuncio dell’esercito sudanese di aver “sospeso la sua partecipazione ai negoziati” in Arabia Saudita per raggiungere una tregua con i paramilitari delle Forze di supporto rapido, sotto l’egida degli americani e dei sauditi.
Il presidente del Consiglio sovrano, il generale Abdel Fattah al Burhan, ha assunto questa decisione “perché i ribelli non hanno mai applicato uno dei punti dell’accordo temporaneo che prevede il loro ritiro da ospedali e case, e stanno costantemente violando la tregua”, ha spiegato un funzionario governativo che ha voluto mantenere l’anonimato.
Con il protrarsi del conflitto la situazione umanitaria e economica è ormai precipitata.
A un mese e mezzo dall’inizio delle ostilità, che si sono trasformate in breve tempo in una vera e propria guerra civile, le conseguenze sono terribili e le implicazioni per il futuro sconfortanti.
Pubblichiamo di seguito un’analisi realizzata dal Centro studi di intesa Sanpaolo, un report accurato ed esaustivo che chiarisce i contorni di un conflitto che coinvolge molti attori stranieri.

Principali implicazioni del conflitto in Sudan

Il protrarsi nel tempo degli scontri in corso tra le Forze Armate Sudanesi e le Forze di Supporto Rapido rischiano di trasformare un conflitto di natura domestica, per il controllo politico del potere in Sudan, in una guerra civile in grado di minare la stabilità dei paesi limitrofi. Il forte afflusso di rifugiati andrà ad acutire il problema della sicurezza alimentare, aumentando le pressioni inflazionistiche e le tensioni interne.
 Il Sudan, data la sua posizione cruciale nell’Africa orientale al confine con sette paesi e con accesso diretto al Mar Rosso, rappresenta uno dei maggiori poli commerciali del continente1. L’interscambio con il resto del mondo nel 2021 ha raggiunto l’ammontare di 14,2 miliardi di dollari, con un incremento del 12% rispetto all’anno precedente: l’import è rimasto sostanzialmente stabile a 8,8 miliardi di dollari (+1%), mentre l’export è cresciuto del 34% (a 5,4 miliardi di dollari) generando un saldo negativo di 3,4 miliardi di dollari (in miglioramento rispetto ai -4,6 miliardi di dollari registrati nel 2020). Le importazioni sono costituite per circa il 26% da prodotti agricoli e alimentari (principalmente zucchero), seguono i macchinari (16% – di cui macchinari meccanici 9%), i mezzi di trasporto (10%), i prodotti chimici (9%) e infine il comparto del tessile e dell’abbigliamento (8%). Le esportazioni sono rappresentate per più del 50% da pietre e metalli preziosi, per circa un terzo da prodotti agricoli e alimentari (olio di semi e bestiame) e per circa l’8% da minerali energetici2. I mercati di sbocco e di approvvigionamento sono prevalentemente Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Cina, India ed Egitto.
Gli scambi commerciali con l’Italia hanno subito un’accelerazione nel 2022 toccando i 535 milioni di dollari, grazie all’aumento dell’import italiano di minerali (+196% a/a) che ammonta a 401 milioni di dollari e rappresenta più del 90% delle importazioni totali.
 La transizione democratica del Paese, iniziata nel 2019 dopo la deposizione del dittatore Omar al-Bashir, si è interrotta nuovamente il 15 aprile 2023 quando sono esplosi nella capitale Khartum gli scontri tra le Forze Armate Sudanesi (SAF), guidate dal Generale Abdel Fattah al- Burhan, e le Forze di Supporto Rapido (RSF), un gruppo paramilitare controllato dal Generale Mohamed Hamdan Dagalo (noto come Hemedti), rispettivamente presidente e vicepresidente del Sudan3. Le tensioni sono iniziate lo scorso dicembre quando, nella definizione di un accordo quadro con la coalizione civile e le opposizioni, era stata prevista l’unificazione dei gruppi armati presenti sul territorio in un unico esercito regolare con il conseguente assorbimento delle RSF nelle SAF entro un periodo di due anni.
 In base alle stime delle Nazioni Unite4, a gennaio scorso erano già presenti nei paesi limitrofi (principalmente in Ciad, Sud Sudan, Egitto ed Etiopia) più di 800 mila rifugiati sudanesi a cui si aggiungeranno nei prossimi mesi ulteriori 860 mila persone in fuga dagli scontri. Il continuo afflusso di rifugiati rischia di trasformare il conflitto in una crisi umanitaria: gli stati confinanti faticano a gestire un flusso di persone così elevato, essendo già impegnati internamente sia nel contenimento delle pressioni inflazionistiche elevate sia nella gestione dei problemi legati alla sicurezza alimentare

Qualora il conflitto dovesse protrarsi nel tempo, difficilmente gli effetti rimarranno all’interno dei confini nazionali e i principali partner commerciali saranno costretti a prendere posizione. Entrambi i leader ricoprono ruoli di spicco nel panorama internazionale sudanese: al-Burhan, durante la transizione democratica, ha sempre mantenuto degli ottimi rapporti con l’Egitto e l’Arabia Saudita e riallacciato le relazioni con l’Etiopia; Hemedti, d’altro canto, ha stretto relazioni bilaterali con Eritrea e Russia (principalmente attraverso il gruppo Wagner interessato al controllo economico dei giacimenti d’oro del Paese) e le Forze di Supporto Rapido hanno prestato servizio in Libia e combattuto in Yemen al fianco di Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. Ad oggi tutti gli attori internazionali coinvolti non si sono schierati né per l’uno né per l‘altro contendente auspicando una soluzione pacifica del conflitto (un primo round di colloqui di pace si è svolto il 7-11 maggio 2023 a Jeddah, in Arabia Saudita) che permetta di preservare la stabilità e l’integrità territoriale del Sudan, ricoprendo a livello geografico una posizione cruciale per l’Africa Orientale.
 Per Cina, India, Italia, Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita gli effetti economici derivanti dal conflitto saranno limitati: sebbene siano tra i maggiori destinatari dell’export di prodotti agricoli e alimentari, di oro e petrolio, la quota di commercio con il Sudan risulta residuale rispetto a quella con il resto del mondo. Il conflitto impatterà, tuttavia, sugli investimenti previsti da parte dei paesi del Golfo: lo scorso dicembre era stato firmato un memorandum d’intesa tra il governo sudanese e quello emiratino per la costruzione di un nuovo porto e di una zona economica sul Mar Rosso.
 L’Egitto è uno dei paesi maggiormente interessati dall’evolversi degli eventi. Il Sudan è un alleato strategico nell’opposizione al progetto etiope della Grande diga del millennio sul Nilo Azzurro legata al più importante impianto idroelettrico del continente africano. L’Etiopia si sta, infatti, preparando per la quarta fase di riempimento della diga senza però un accordo tra le parti per regolare e gestire il flusso d’acqua lungo il fiume Nilo5, indispensabile per l’economia egiziana rappresentando la prima fonte d’acqua potabile e d’irrigazione. Il protrarsi del conflitto aumenta il rischio che i colloqui tra Sudan, Etiopia ed Egitto si interrompano spingendo quest’ultimo verso una soluzione militare che accrescerebbe ulteriormente le tensioni nella regione (allo scoppio del conflitto erano in corso esercitazioni congiunte tra le SAF e l’esercito egiziano).
L’interscambio tra Sudan ed Egitto vale complessivamente 1,4 miliardi di dollari nel 2022 (+18% a/a), che rappresentano circa il 13%6 del commercio di quest’ultimo nel continente africano. Il Sudan rappresenta il principale esportatore di bestiame e carne7 e le strozzature dovute alla crisi interna stanno impattando sulle forniture, spingendo verso l’alto il prezzo del paniere alimentare e contribuendo a rafforzare le pressioni inflazionistiche (gli ultimi dati di aprile 2023 segnano una crescita del 30,6% a/a e del 38,6% a/a per la componente core). Data la posizione strategica del Sudan, il perdurare del conflitto impatterà negativamente anche sugli scambi con paesi terzi.
Sull’Egitto peserà, inoltre, la gestione del massiccio flusso di rifugiati in ingresso nel paese: secondo i dati forniti dalle autorità egiziane già 70 mila persone hanno attraversato il confine in cerca di rifugio e secondo le stime delle Nazioni Unite gli arrivi raggiungeranno quota 350 mila entro ottobre 2023.
Ulteriori rischi per l’economia sono dovuti alla sicurezza delle frontiere: da un lato il governo dovrà dedicare maggiori risorse per garantirne la stabilità, dall’altra una percezione di insicurezza potrebbe ridurre il flusso di turisti nelle aree sud dell’Egitto, che include mete popolari come Abu Simbel.

 La presenza di legami tra le Forze di Supporto Rapido e l’Esercito Nazionale Libico (LNA), guidato dal generale Khalifa Haftar, mettono a repentaglio la sicurezza dei confini nel sud della Libia, dove vengono registrati movimenti non solo di civili in fuga, ma anche di combattenti delle RSF che potrebbero utilizzare i territori di confine come base. L’escalation delle violenze in Sudan impatterà di riflesso sulle prospettive politiche ed economiche dello stato libico, aumentando le preoccupazioni degli investitori in merito alla sicurezza e alla gestione della responsabilità politica e minando la transizione in corso che avrebbe dovuto condurre a elezioni entro la fine del 2023.
 Sulla regione del Corno d’Africa, già fortemente colpita negli ultimi anni da siccità e carestie, non peserà solo la gestione dei rifugiati, della sicurezza alimentare e delle tensioni interne, ma la potenziale diffusione del conflitto al di fuori dei confini sudanesi impatterà sui progetti chiave di sviluppo dell’area, riducendo i flussi di capitale da parte di paesi terzi e investitori privati. Nel 2019 è stata lanciata, con la collaborazione della Banca Mondiale, un’iniziativa per l’integrazione e la stabilità regionale8 con un target di 15,9 miliardi di dollari (di cui 7 miliardi già mobilizzati) basata su quattro pilastri: l’interconnessione tra i paesi membri a livello infrastrutturale, energetico e digitale, l’integrazione economica con l’abbattimento delle barriere al commercio, lo sviluppo di una maggiore resilienza a eventi climatici estremi e investimenti in educazione e sanità. Fondamentale per il successo dell’intera iniziativa è un clima favorevole per donazioni e investimenti.
 In seguito alla fine della guerra civile9 in Etiopia, nel gennaio 2023 si era tenuto un primo incontro distensivo tra il primo ministro etiope Abiy Ahmed e il generale al-Burhan, di fatto capo di Stato del Sudan, in cui erano stati affrontati i temi spinosi relativi alla Grande diga del millennio e alla disputa legata alla regione fertile di el-Fashaga. Due mesi dopo è avvenuto un incontro a porte chiuse tra Hemedti e il presidente eritreo Isaias Afewerki: un possibile appoggio dell’Eritrea alle RSF potrebbe spingere i miliziani ribelli ancora presenti nella regione del Tigray a unirsi agli scontri destabilizzando nuovamente l’Etiopia. Il programma di riforme economiche, supportato dal Fondo Monetario Internazionale, focalizzato su liberalizzazione, privatizzazione, stabilità valutaria e sostenibilità fiscale, potrebbe subire un nuovo arresto, rendendo più complessi i colloqui in corso per la ristrutturazione del debito.
 Il Ciad condivide con il Sudan circa 1400 km di confine a ridosso della regione del Darfur, una delle aree più calde del Paese e teatro di sanguinosi conflitti. Prima dell’inizio degli scontri tra SAF e RSF, in Ciad erano già presenti circa 400 mila rifugiati sudanesi che, secondo le stime dell’UNHCR, potrebbero presto salire a quota 500 mila peggiorando la crisi di sicurezza alimentare già presente nel Paese (il 43%10 della popolazione vive in condizioni di povertà estrema). Il Ciad ha iniziato a sua volta una transizione politica nell’aprile 2021, dopo la morte de presidente Idriss Dèby (rimasto ucciso in uno scontro armato) e nel gennaio scorso ha firmato un accordo di cooperazione con la Repubblica Centrafricana e le RSF per cercare di raggiungere una maggiore stabilità interna, mantenendo i confini sicuri dai gruppi ribelli. L’escalation di violenza nella vicina regione del Darfur richiamerà maggiori uomini dentro il territorio sudanese aumentando l’insicurezza dei confini, riaccendendo le tensioni interne e offrendo ai gruppi ribelli maggior spazio d’azione. Tra gli ulteriori rischi per la stabilità del Paese viene segnalato il possibile reclutamento di nuove milizie da parte delle RSF e il traffico illegale di armi da fuoco.
 Il Sud Sudan, che ha ottenuto l’indipendenza nel 2011 ed è uscito dalla guerra civile solo nel 2018, sta assistendo al controesodo dei suoi cittadini che avevano trovato rifugio nello Stato settentrionale e, in minor misura, all’arrivo di rifugiati sudanesi, con un forte impatto sulla gestione dell’accoglienza e della sicurezza alimentare (le Nazioni Unite stimano complessivamente 240 mila arrivi). Il protrarsi della guerra rischia di minare l’economia del Paese, fondata sulla produzione ed esportazione di petrolio11: la commercializzazione del greggio avviene attraverso le infrastrutture del paese limitrofo che garantisce l’accesso al Mar Rosso.
Infine, la distruzione delle infrastrutture commerciali e civili (aeroporti, scuole, ospedali) impatterà sulla qualità del credito sudanese e qualsiasi diffusione del conflitto al di fuori dei confini nazionali aumenterà la preoccupazione a livello regionale e internazionale. Pertanto, si evidenzia il possibile impatto sulla qualità degli assets delle Banche Multilaterali di Sviluppo operanti in quei territori: tra le banche più esposte la Trade and Development Bank (TBD) e l’Africa Export-Import Bank (Afrexim), con circa un terzo dei loro assets concentrati in Sudan e nei paesi limitrofi.

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