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Sudan, a 18 anni dall’inizio del conflitto in Darfur i massacri continuano

Un quadro drammatico, un sistema di assistenza umanitaria peggiorato, questo è ciò che emerge dal rapporto che riassume l’anno di crisi e di conflitti in Sudan e Sud Sudan di Italians For Darfur, organizzazione no profit che dal 2006 porta avanti una campagna d’informazione sul conflitto e di sensibilizzazione sulla crisi umanitaria nella regione occidentale sudanese.
Il report traccia e analizza la situazione sul terreno anche a fronte della sospensione della missione congiunta Nazioni Unite – Unione africana autorizzata dal Consiglio di sicurezza nel 2008.

Da 10 anni nel giorno in cui ricorre l’anniversario dell’inizio della guerra in Darfur, il 26 febbraio, l’associazione fa il punto sul paese (senza tralasciare il Sud indipendente dal 2011) in collaborazione con gli analisti di Unamid evidenziando criticità e prospettive dell’operazione di peacekeeping che finora non ha ancora raggiunto gli obiettivi prefissati dalla risoluzione Onu che ne ha dato il via.

All’indomani del cessate il fuoco sia nella regione occidentale sudanese che in altre realtà in conflitto nel Paese abbiamo chiesto all’associazione di fare il punto sulla situazione umanitaria.

Il 2021 è stato l’anno della fine della missione Unamid, come chiesto più volte dal presidente sudanese Omar Hassan al Bashir, deposto nel 2019 dall’esercito che aveva preso il potere affiancando il movimento di proteste contro il dittatore.

Il dato del rapporto che colpisce maggiormente è il peggioramento delle condizioni di sussistenza per i 2 milioni e mezzo di profughi, ormai assistiti solo da ong locali, ma soprattutto della sicurezza.
Nonostante nel mondo non manchino nuovi e continui fronti di crisi, quella in atto nella regione sudanese resta la più vasta e longeva con oltre 300.000 vittime e circa 2 milioni e mezzo di sfollati. Nel 2020, seppure non ci siano state operazioni militari ufficiali delle forze del Governo del Sudan contro i gruppi armati del Darfur, gli scontri non sono mancati e hanno coinvolto le Rapid Support Forces, milizie filogovernative impegnate ufficialmente per contrastare un possibile aumento del flusso di migranti irregolari ma di fatto utilizzate per contrastare la ribellione ancora molto attiva in gran parte della regione. E Il fronte del contrasto agli oppositori di Bashir si sta ulteriormente ampliando. Le notizie si fanno di giorno in giorno più preoccupanti.

Sotto il profilo della sicurezza alimentare la situazione appare incancrenita. Nonostante gli sforzi per sollecitare l’autonomia delle persone colpite dalla crisi siano diventati sempre più centrali nell’azione della missione Unamid, non si registrano miglioramenti.

Nel 2020, secondo Ocha, 4,8 milioni di persone hanno richiesto assistenza umanitaria, tra cui 3,1 milioni nel Darfur. Oltre 3 milioni e mezzo di persone sono state aiutate sotto il profilo alimentare e hanno ricevuto sostegno per il sostentamento minimo quotidiano, mentre 2,2 milioni di bambini sotto i cinque anni sono a tutt’oggi malnutriti.

In tanti, nelle aree inaccessibili ai cooperanti non ricevono alcun aiuto. Nel distretto del Jebel Marra, dove all’inizio del 2016 sono scoppiate nuove violenze, l’accesso e l’assistenza umanitaria sono pressoché inesistenti, in particolare nelle zone controllate dall’Esercito per la Liberazione del Sudan (Sla) dove migliaia di persone sono abbandonate a loro stesse.

Ancora più grave la situazione nel Sud meridionale. L’instabilità intorno ai confini tra i due paesi aggiunge un ulteriore carico umanitario alla crisi con migliaia di sfollati in cerca di asilo e rifugio nel paese. Dopo lo scoppio del conflitto nel Sud Sudan, nel dicembre 2013, si è registrato un flusso costante di sud sudanesi. L’Alto commissariato per i rifugiati dei migranti ha stimato che tra il dicembre 2013 e l’inizio del 2019 sia arrivato in Darfur oltre mezzo milione di sud sudanesi.

Sebbene questi ultimi possano muoversi liberamente all’interno dello stato confinante e stabilirsi in qualsiasi area, la maggioranza ha chiesto asilo nei campi profughi nella regione del Nilo Bianco, altri nel Darfur Est. Appare paradossale che in uno scenario regionale di scontri interni e crisi umanitaria cronica, vi sia un flusso continuo di sfollati e migranti provenienti, oltre che dal Sudan meridionale, dalla Repubblica Centrafricana, dal Ciad, dall’Eritrea e dall’Etiopia, da cui continuano ad arrivare sfollati a causa delle violenze e gli attacchi delle forze armate etiopi ed eritree nello stato del Tigray.
Il Darfur è anche questo.

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