“Se vogliono prendere parte alle proteste, sono i benvenuti. Ma sappiano che devono essere pronti a subirne le conseguenze. Sappiamo chi è dietro a queste cose. Vogliamo evitare che i nostri giovani muoiano di nuovo”.
Con questa intervista rilasciata il 7 maggio a Radio Tamazuj, il ministro dell’Informazione sudsudanese aveva dato il via alla campagna di minacce e intimidazioni nei confronti degli attivisti nonviolenti del “Movimento cartellino rosso”.
Una delle prime iniziative del movimento era una giornata di mobilitazione, da tenere nella capitale Juba e anche all’estero il 16 maggio. Dopo l’annuncio, i Servizi per la sicurezza nazionale hanno effettuato rastrellamenti casa per casa e l’esercito è stato massicciamente schierato per le strade di Juba, dove non si è fatto vivo alcun manifestante.
Sit-in e altre iniziative si sono svolti invece fuori dal paese: in Australia, in Sudan e negli Usa non ci sono stati problemi. In Kenya ed Etiopia invece le cose sono andate diversamente.
Ad Addis Abeba, la capitale etiopica, funzionari dell’ambasciata sudsudanese hanno preso a schiaffi e pugni due operatori che stavano riprendendo la protesta. In Kenya, uomini in nero appartenenti alla sicurezza si sono presentati alla manifestazione di Nairobi minacciando i presenti che sarebbero stati riportati in SudSudan e avrebbero fatto “la stessa fine di Dong e Aggrey”, due attivisti assassinati nel 2017.
Per rendere le cose ancora più chiare, il 21 maggio il presidente Salva Kiir ha ribadito il concetto:
“Quelli che vi chiedono di andare sotto alla sede del governo a protestare, non si rendono conto che potrebbe accadere qualsiasi cosa? Che potrebbe scapparci il morto? Se il governo decide di usare le armi automatiche, perché vorreste morire per nulla?”
Nei mesi successivi ha prevalso la paura.
Poi, il 9 luglio, Festa dell’indipendenza del SudSudan, il “Movimento cartellino rosso” ci ha riprovato, sempre di fronte all’ambasciata di Nairobi. Nonostante la manifestazione fosse stata regolarmente autorizzata, la polizia è arrivata in forze disperdendo la folla, picchiando e arrestando due persone, poi rilasciate su cauzione.