La piaga del lavoro minorile esiste da sempre, ma il suo sfruttamento, che ha radici profonde, sta aumentando anche come una delle conseguenze della povertà generata dall’emergenza Coronavirus.
Un esempio è quello di Kolwezi, nella Repubblica democratica del Congo, dove il coronavirus ha riportato nelle miniere di cobalto migliaia di bambini, che lavorano in schiavitù per aiutare le loro famiglie, piegate dalla crisi economica e dal crollo dei redditi causato dalla pandemia. Da questo pezzo di terra proviene l’80% dell’offerta dei minerali strategici sul mercato mondiale. E qui si sono spostate migliaia di famiglie, spesso in fuga dalla violenza delle milizie e ora anche per necessità.
Solo negli ultimi due mesi circa 200 mila persone hanno abbandonato le proprie case. Lo sfruttamento dei minori serve per raccogliere e ripulire a basso costo i minerali necessari per il funzionamento dei nostri smartphone, tablet, computer e auto elettriche.
Secondo le stime dell’Unicef, almeno 40.000 bambini lavano illegalmente, anche per 14 ore al giorno, le rocce, immersi in pozze inquinate, per farle trasportare in Cina, che, manco a dirlo, ha il monopolio.
Le famiglie non mandano i figli a scuola perché hanno bisogno del loro aiuto per sopravvivere e così donne e bambini, spesso madri e figli, lavorano per setacciare e lavare il cobalto senza mascherine o guanti esponendosi ad un elevato rischio di malattie respiratorie e gravi infezioni del tratto urinario. In molti piccoli è stata trovata una quantità di cobalto nelle urine dieci volte superiore alla media.
Pertanto il rischio di ammalarsi è elevato, con il terrore negli occhi che le milizie possano prendere il controllo delle miniere, mentre la caduta dei prezzi dei minerali aumenta i rischi di sfruttamento.
Sfruttamento, malattie e guerre. I bambini del Congo rischiano di non avere un futuro.