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RDCongo, il presidente Tshisekedi chiede all’ONU il ritiro anticipato della MONUSCO

All’ultima Assemblea Generale delle Nazioni Unite, tenutasi la settimana scorsa a New York dal 19 al 23 settembre, il presidente della Repubblica Democratica del Congo, Félix Tshisekedi, ha chiesto un ritiro più rapido dal suo Paese della MONUSCO, la missione di peacekeeping dell’ONU per la stabilizzazione nella RDC, istituita nel maggio 2010 e che prese il posto di una missione precedente (la MONUC) che era cominciata nell’agosto 1999.

Da quasi un quarto di secolo i caschi blu sono presenti nelle province orientali congolesi e, come ha chiesto Tshisekedi, i loro ritiro dovrebbe essere anticipato dal dicembre 2024 al dicembre 2023, cioè tra meno di tre mesi. Secondo il Capo di Stato congolese, la missione non è riuscita a portare la pace nel Paese e, ha aggiunto, è “illusorio e controproducente continuare ad aggrapparsi alla forza per mantenere la pace; è ora che il nostro Paese prenda il pieno controllo del proprio destino e diventi l’attore principale della propria stabilità”.

Mercoledì 20 settembre, dal podio della 78a sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, Félix Tshisekedi ha tenuto un discorso piuttosto articolato, di cui il passaggio più citato e ascoltato è stato proprio quello sulla “necessità” della partenza della Missione ONU:

“L’accelerazione del ritiro della MONUSCO diventa una necessità imperativa per allentare le tensioni tra i caschi blu e i nostri concittadini. È tempo che il nostro Paese prenda il pieno controllo del proprio destino e diventi l’attore principale della propria stabilità”.

Il Presidente della RDC ha preso atto che le forze internazionali non sono riuscite a far fronte alle ribellioni e ai conflitti armati che dilaniano la regione africana dei Grandi Laghi, dunque anche le province orientali congolesi dell’Ituri, il Nord Kivu e il Sud Kivu: “È quindi illusorio e controproducente continuare ad aggrapparsi al mantenimento della MONUSCO per riportare la pace nella RDC e stabilizzarla”, ha osservato.

Inoltre, Tshisekedi ha ribadito la richiesta della RDC al Consiglio di sicurezza dell’ONU di sanzionare tutti gli autori di gravi crimini commessi sul territorio congolese, facendo esplicito riferimento al gruppo ribelle M23, che Kinshasa ritiene concretamente sostenuto dal Rwanda: “È ingiusto e inaccettabile che queste persone citate nei vari rapporti degli esperti dell’Onu restino impunite nel silenzio totale delle Nazioni Unite”, ha sottolineato il Presidente, aggiungendo che non sarà mai concesso alcun dialogo all’M23, che “continua a rifiutarsi di rispettare gli impegni presi dai Capi di Stato della regione nel quadro dei processi di pace di Luanda e Nairobi”.

Secondo alcuni organi di stampa congolese, la “società civile” avrebbe apprezzato la fermezza di Tshisekedi. Ad esempio, Gérôme Bonso, segretario della piattaforma “Agir pour les élections transparentes et apaisées” (Agire per elezioni trasparenti e pacifiche: AETA), ha dichiarato:

“Abbiamo apprezzato il messaggio che il Presidente della Repubblica ha inviato alla comunità internazionale perché sappiamo che la guerra impostaci dal Rwanda sotto la copertura dei suoi ausiliari dell’M23 è una guerra ordinata dalla comunità internazionale. Questo tema doveva essere affrontato proprio dinnanzi alla comunità internazionale, da cui abbiamo imparato una cosa: la fermezza e il modo di denunciare l’aggressore. Prima parlavamo in modo anonimo ma il Presidente della Repubblica lo ha detto bene e ha dimostrato che ci sono diversi modi per trovare una soluzione a questo conflitto armato”.

Dal canto loro, come risposta a Tshisekedi, i miliziani dell’M23 hanno occupato nuovamente alcune località nel Nord Kivu, tra cui le colline di Kibarizo, Kabalekasha e altre nel martoriato territorio di Masisi, nonché la collina di Ruhunda a Kibumba, nel territorio di Nyiragongo, nei pressi della città di Goma, capoluogo della zona.

Infine, ieri 28 settembre il rappresentante speciale Bintou Keita, capo della MONUSCO, ha dichiarato al Consiglio di sicurezza di New York che

“gli attacchi alle popolazioni locali, i blocchi stradali e il rifiuto dell’accesso umanitario continuano ad alimentare la sofferenza nelle province di Ituri, Nord Kivu e Sud Kivu, mentre ancora oggi oltre sei milioni di persone sono sfollate in quei luoghi”.

Keita, evidentemente, sollecita un sostegno continuo alle operazioni di soccorso sottofinanziate e, relativamente a una eventuale partenza anticipata dei caschi blu, ha invitato il Consiglio a esprimersi chiaramente sulle raccomandazioni contenute nel rapporto di agosto del Segretario generale sul futuro della missione da lei guidata.

Keita ha poi affrontato un altro aspetto profondamente preoccupante della crisi congolese, ossia la prevalenza della violenza sessuale e di genere: “Nei soli mesi tra giugno e luglio di quest’anno, oltre 10.000 sopravvissute a violenze sessuali hanno chiesto assistenza alla MONUSCO nelle tre province congolesi”, per cui la Missione dell’ONU ha intensificato i pattugliamenti, ma sono essenziali delle ulteriori misure umanitarie e, soprattutto, delle soluzioni politiche.

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