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Rd Congo: un ponte aereo per la crisi umanitaria a Goma

Il 10 e il 17 marzo ci sono stati i primi due ponti aerei che l’Unione Europea ha effettuato con la città congolese di Goma, capitale del Nord Kivu, nell’est del Paese. I velivoli hanno consegnato 35 tonnellate di aiuti umanitari, tra forniture mediche e alimentari, senza dimenticare coperte, tende, vestiario e altri articoli essenziali. Si tratta di materiali destinati a tutte le organizzazioni umanitarie che operano nella regione: un sostegno fondamentale, eppure ancora insufficiente, per le centinaia di migliaia di sfollati dell’est della RDC. Il lavoro è effettuato in collaborazione con l’Unicef, l’Unhcr, Save the Children, Medici senza frontiere e altre importanti ong. Sono previsti ulteriori ponti aerei: un terzo viaggio è previsto per questa settimana, ma si stanno cercando anche le modalità più efficaci per continuare più a lungo l’operazione perché, come ha detto Jean-Marc Chataigner, Ambasciatore dell’Unione Europea nella RDC, ai microfoni di Radio France International, “i bisogni locali sono letteralmente immensi”.

In particolare, ha continuato l’ambasciatore Chataigner, “il campo profughi di Bulengo, alla periferia di Goma, una città di 1 milione di abitanti, ha 500mila sfollati, i cui bisogni sono enormi”. Queste persone vivono in una zona insalubre e vulcanica, dove dal terreno fuoriescono dei gas e le condizioni sanitarie possono rapidamente deteriorarsi; non hanno accesso all’acqua potabile e non hanno mezzi concreti di sopravvivenza, se non fosse per l’assistenza umanitaria delle ong, del governo congolese e, ora, anche dell’Unione Europea.

L’intera area orientale congolese è in una situazione estremamente critica: nelle quattro province dell’Ituri, del Nord Kivu, del Sud Kivu e del Tanganika ci sono bel 5 milioni e 700 mila sfollati a causa delle guerre locali tra gruppi armati e tra questi e l’esercito regolare. In altre parole, circa un quarto della popolazione totale dell’est del Congo è oggi sfollato, di cui centinaia di migliaia soffrono un’insicurezza alimentare grave: si tratta di una delle più gravi crisi umanitarie del continente africano e, stando alle cifre, del mondo intero.

Lo stesso grido d’allarme è stato lanciato anche dal Programma Alimentare Mondiale (WFP) dai microfoni di Radio Okapi, l’organo di informazione ufficiale della Monusco, la missione di peacekeeping dell’Onu nella RDC. Secondo questa agenzia delle Nazioni Unite, la situazione umanitaria nell’est congolese continua a deteriorarsi da mesi, dacché attualmente si conta almeno un milione di persone con urgente bisogno di assistenza alimentare e sanitaria. In particolare, le preoccupazioni del WFP riguardano decine di migliaia di famiglie fuggite dalle loro case nel territorio di Masisi, dove ultimamente ci sono stati gli scontri più violenti tra le FARDC (l’esercito regolare) e il gruppo ribelle filorwandese M23: nonostante il cessate il fuoco annunciato lo scorso 7 marzo, queste famiglie non hanno ancora potuto lasciare i campi di Bulengo e Lushagara, o di Nyiragongo e Rutshuru.

A questo proposito, tra il 22 e il 23 marzo è uscita un’indiscrezione su un viaggio a Kinshasa dell’ex presidente francese Nicolas Sarkozy: ufficialmente è una visita privata, ma siccome ha incontrato il Capo di Stato Félix Tshisekedi, molti ritengono che gli sia stato chiesto di intervenire presso Paul Kagame, presidente del Rwanda, a cui Sarkozy sarebbe piuttosto vicino, in modo da cercare di avviare una ulteriore mediazione sulla crisi dell’M23. Ufficialmente, però, le autorità congolesi hanno smentito tali supposizioni:

Le violenze, tuttavia, continuano anche nella provincia dell’Ituri, dove i gruppi armati CODECO (Cooperativa per lo Sviluppo del Congo) e ADF (Allied Democratic Forces, islamista e di origine ugandese) stanno aumentando i loro attacchi alla popolazione civile, che è dunque costretta a rifugiarsi nel campo di Rho, che attualmente ospita più di 70.000 persone.

Più nel dettaglio, i dati delle Nazioni Unite dicono che dal 6 marzo le ADF hanno ucciso almeno 118 civili, senza contare i saccheggi, gli stupri, i rapimenti di ostaggi e l’incendio di interi villaggi. Le violenze delle ultime settimane sono concentrate a una 20ina di km a sud della città di Beni, un’area che in teoria sarebbe protetta dall’esercito congolese e dalle truppe della Monusco, ma che invece resta porosa e soggetta ad attacchi ripetuti.

Il 21 marzo diverse centinaia di rappresentanti di varie comunità si sono riuniti a Bukavu per discutere di pace e sviluppo nella provincia del Sud Kivu, in un incontro organizzato dalla “League of Leaders for Peace and Development”, un’associazione della società civile, in collaborazione con la Presidenza congolese. Al centro delle discussioni ci sono state la governance, la sicurezza e la coesione sociale, ma anche la gestione del territorio e delle risorse minerarie, spesso all’origine dei conflitti socio-economici e politici della zona.

La RDCongo, tuttavia, non è pacificata nemmeno in altre province, come ad esempio nel territorio di Kwamouth, poco a nord della capitale Kinshasa, dove da un anno ci sono violenze diffuse, accentuatesi negli ultimi giorni. In particolare, nella sera tra il 20 e il 21 marzo degli assalitori armati hanno attaccato una barca sul fiume Congo. Il bilancio è incerto e parziale: si contano 10 morti ufficiali e addirittura 100 dispersi, con poche speranze di ritrovarli. Anche in questo caso, i sopravvissuti sono costretti a scappare e solo negli ultimi giorni si contano oltre 2500 nuovi sfollati giunti dalla zona di Kwamouth alla provincia di Kwango:

Siccome il fiume Congo è anche il confine naturale tra il Congo Kinshasa e il Congo Brazzaville, da quest’ultimo è arrivato il divieto per tutte le imbarcazioni dirette a Kwamouth di navigare lungo la propria riva dal grande fiume.

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