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Rd Congo: il peso politico della visita apostolica di Papa Francesco

Secondo la Costituzione del 1974, nella Repubblica Democratica del Congo non c’è una religione di stato perché si tratta di una nazione laica, dove ognuno è libero di praticare il credo che preferisce. Nonostante questo principio fondamentale, la RDC resta molto religiosa, un Paese dove difficilmente ci si definisce atei, anzi dove la religione permea la società, l’istruzione, la vita pubblica, la politica. Secondo le stime, i congolesi sono per circa il 40% cattolici (49% secondo il Vaticano), il 35% protestanti o affiliati a chiese di risveglio, il 9% musulmani, il 10% kimbanguisti, una chiesa cristiana locale. Si tratta di un’eredità del periodo coloniale belga, che, tra l’altro, prevede che l’educazione sia ampiamente affidata ai missionari cattolici.

Per numero di fedeli, la RDC è il primo Paese cattolico dell’Africa, con circa 45 milioni di persone che si professano tali, tra i primi 10 al mondo; ha dunque un forte legame con il Vaticano e aspettava un ritorno del Pontefice dal 1985: Papa Francesco, infatti, viaggia a Kinshasa 38 anni dopo Papa Giovanni Paolo II. Oggi la RDC è un Paese diverso da quello incontrato da Karol Wojtyła, quando si chiamava ancora Zaire, e che negli ultimi decenni ha vissuto momenti drammatici, specie in occasione del cambio violento di regimi sanguinosi e di guerre cruente soprattutto nelle province orientali. Nella RDC attuale, tuttavia, sono sintetizzate tutte le questioni che Jorge Bergoglio ha più a cuore: “evangelizzazione, dialogo interreligioso, pace, tutela dell’ambiente, questioni migratorie, lotta alla corruzione, povertà”, ha evidenziato il Nunzio Apostolico, mons. Ettore Balestrero, durante un’intervista alla stampa congolese.

Le autorità di Kinshasa conoscono bene questo legame con la Chiesa Cattolica e, in particolare, lo specifico interesse dell’attuale Pontefice; infatti, stanno preparando con il massimo impegno la sua venuta e l’accoglienza logistica. Per esempio, ai primi di gennaio è stato attivato uno specifico sito internet e vari account sui principali socialmedia, come ad esempio Twitter:

Mentre per la celebrazione della messa è stato scelto l’ampio spazio dell’aeroporto di Ndolo, poco fuori dal centro urbano della capitale, l’unico sito che offre la possibilità di accogliere oltre un milione di persone, vasto quanto 170 campi di calcio messi insieme. L’aerostazione e il quartiere circostante di Barumbu, dunque, sono stati messi in sicurezza e resi più accoglienti, “con grande soddisfazione della popolazione”, dicono le cronache locali, sebbene sui socialmedia molti si lamentino che sia stata necessaria la visita del Papa perché il governo si occupasse della vivibilità della zona. In tutta l’area è stata rinforzata la presenza della Guardia Repubblicana, i cui agenti controllano tutti i movimenti in ingresso e in uscita dai 32 varchi previsti per il deflusso dei fedeli. Sulla pista di rullaggio è stato allestito il podio che servirà da altare e da tribuna per ospitare le personalità civili ed ecclesiastiche nel giorno della celebrazione liturgica, ma intorno sono previsti anche diversi maxischermi per permettere ai partecipanti di seguire la liturgia in diretta.

La visita apostolica di Papa Francesco è certamente l’evento dell’anno per la RDC, se non addirittura quello più rilevante dell’intera presidenza di Félix Tshisekedi; il governo lo sa e ha assunto una posizione formalmente equilibrata, ripetendo che bisogna “evitare la sua politicizzazione”. Il ministro delle comunicazioni Patrick Muyaya ha affermato: “La visita del Papa accade una volta nella vita. È un evento storico. […] È un forte momento di riconciliazione e di solidarietà per tutte le disgrazie che i congolesi hanno conosciuto”. Ma il viaggio di Bergoglio è politico in sé: la Chiesa Cattolica ha storicamente un peso influente nelle dinamiche congolesi, ad esempio quando denunciò apertamente il malgoverno di Joseph Kabila, esortandolo a organizzare delle elezioni senza di lui, poi vinte dall’attuale presidente Tshisekedi. Oppure, è influente la voce cattolica nella partecipazione alle votazioni, infatti da settimane molti prelati cominciano a ripetere quanto sia importante per la democrazia che i cittadini si registrino per partecipare alle consultazioni del prossimo dicembre. D’altra parte, la Conferenza episcopale nazionale del Congo (CENCO) sarà tra gli osservatori ufficiali delle elezioni presidenziali, in cui Tshisekedi sarà candidato per un secondo mandato.

Un punto essenziale della visita papale è certamente anche il conflitto nelle province orientali congolesi, che il Pontefice segue con assiduità. Si tratta di una guerra frammentata contro decine di gruppi armati ribelli e con dei rapporti ambigui verso i Paesi confinanti, soprattutto per la crescente tensione contro il Rwanda. In effetti, le parole che Papa Francesco pronuncerà in merito alla pace sono attese con grande interesse anche a livello internazionale, ma al momento nessuna dichiarazione ufficiale è stata emessa dal governo del Rwanda. Anzi, da una ricerca nell’archivio online del principale giornale rwandese, The New Times”, la visita del Pontefice a Kinshasa è pressoché assente: il viaggio apostolico è citato in un unico articolo del 24 gennaio, dove tuttavia la notizia riguarda la tappa di Bergoglio nel Sud Sudan dal 3 al 5 febbraio e solo in un breve inciso è indicato che precedentemente sarà in RDC. Se il silenzio rappresenta una forma di comunicazione, in questo caso sembra particolarmente eloquente quanto appaia artificioso e voluto: forse è una forma di prudenza oppure è un modo un po’ sprezzante per misconoscere l’evento, tuttavia in nessun caso sembra il frutto di indifferenza o di mancanza d’interesse; al contrario, il Rwanda è in attesa che il Papa pronunci il suo discorso e che esprima una posizione in merito alle difficili relazioni tra i due Paesi.

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