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Focus on Africa - Notizie e Analisi Africa - Etiopia

Il riconoscimento al primo ministro etiope sia uno stimolo per andare avanti

Quando l’Accademia reale svedese delle scienze a Oslo sceglie di designare un rappresentante di uno stato come premio Nobel per la pace, corre sempre dei rischi. Molte volte il futuro le ha dato torto. Nel caso di Abiy Ahmed, primo ministro dell’Etiopia, siamo ottimisti.
 
Abiy Ahmed ha già fatto “la storia” promuovendo l’accordo di pace con l’Eritrea che ha posto fine a due decenni di relazioni ostili. Ha avuto un ruolo di non poco conto anche nella soluzione della crisi sudanese, attraverso il negoziato tra le forze armate e l’opposizione civile.
 
Sul piano interno, dall’aprile 2018, ha riformato le forze di sicurezza ed emanato nuove norme sulle organizzazioni della società civile. Stiamo parlando di un paese, l’Etiopia, che ha conosciuto decenni di sistematica repressione dei diritti e delle libertà.
 
Ora l’auspicio è che il Nobel per la pace sia uno stimolo per andare avanti, e non per tornare indietro. C’è stato un periodo, durante il governo di Abiy Ahmed, in cui non c’era più alcun giornalista in carcere, e ora ce ne sono alcuni. Le norme sul terrorismo entrate in vigore nei mesi scorsi sono simili per formulazione a quelle precedenti e si spera non determinino nuove violazioni dei diritti umani. Le tensioni etniche costituiscono sempre una minaccia alla stabilità del paese.
 
Insomma, il Nobel per la pace è un onore meritato. Ma ora diventa anche un onere: più e meglio di altri suoi “colleghi”, Abiy Ahmed dovrà condividerne e applicarne principi e valori. 
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