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Migranti: incinta minacciata di deportazione dal Regno Unito al Rwanda

Delina ha 28 anni ed è incinta di 37 settimane; si è scelta questo nome come pseudonimo perché è in fuga da decenni: prima dall’Eritrea quando aveva tre anni, insieme a sua madre dopo che suo padre era stato ucciso dal governo, poi in Sudan, quindi in Libano. Successivamente è arrivata in Europa e per otto mesi ha vissuto in un campo profughi informale a Calais, nel nord della Francia, finché nel luglio di quest’anno è riuscita a prendere un gommone per attraversare la Manica e recarsi nel Regno Unito. Il bambino che porta in grembo è frutto di uno stupro e lei è completamente sola, infatti non ha più alcun membro della sua famiglia e per diverso tempo ha dovuto sopravvivere come senzatetto. In Inghilterra, nonostante i funzionari del Ministero dell’Interno sapessero della sua gravidanza, Delina è stata trasferita di continuo da un hotel all’altro, fino a quando, pochi giorni fa, le è stata recapitata un avviso di deportazione in Rwanda.

La nuova legge britannica di gestione dell’immigrazione prevede il trasferimento dei richiedenti asilo nel Paese africano, per tutto il tempo necessario alle autorità di esaminare ciascun caso, quindi anche quello di Delina. Secondo gli attivisti per i diritti umani, il suo è il caso “più eclatante” in cui si siano imbattuti finora, per cui hanno raccontato tutto alla giornalista Diana Taylor, che ne ha scritto sul “Guardian” il 13 ottobre.

Da quando ha ricevuto l’avviso di espulsione, Delina non riesce a dormire e si trova in uno stato di forte angoscia; dalle ecografie risulta che il suo bambino ha smesso di crescere, per cui potrebbe aver bisogno di cure specialistiche.

Dopo il clamore suscitato dall’articolo, nella serata di ieri – 14 ottobre – il governo ha ritirato la lettera destinata a Delina, spiegando che si è trattato di un errore. Come ha commentato Clare Moseley, fondatrice dell’organizzazione benefica “Care4Calais”, “il Ministero dell’Interno sapeva che Delina è incinta, ma ha comunque emesso un foglio di via, che è stato ritirato solo dopo essere stato pubblicamente svergognato”.

Secondo un recente rapporto della ong “Medical Justice”, che ha analizzato i casi di 36 persone minacciate di essere trasferite in Rwanda, 26 avevano segni di tortura, 15 mostravano prove di disturbo da stress post-traumatico e 11 avevano pensieri suicidi.

Il “Piano Rwanda” è considerato brutale e inumano da un gran numero di attivisti, ma le maggiori critiche e opposizioni stanno arrivando dai medici, che esprimono preoccupazione per il crescente disagio dei pazienti, sempre più angosciati dalla minaccia di deportazione nel cuore dell’Africa.

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