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Marocco, la babele dei droni da guerra israeliani e turchi

Due notizie contemporanee giungono dal Marocco. La prima, riportata dal quotidiano arabo Middle East Monitor ci informa che il re e despota Muḥammad al-Sādis VI ha concluso un accordo con Israele per la creazione di due unità di produzione di droni da guerra. La seconda, riportata dalla Reuters, rivela un accordo di 78,6 milioni di dollari siglato con la Turchia per l’acquisto di droni, relativi armamenti e sistemi di controllo remoto.
La joint venture tra Marocco e Israele per la creazione di due fabbriche di produzione di droni da guerra è stata data in anteprima dal sito israeliano Israel24 e successivamente ripreso dal Middle East Monitor e dai media marocchini. La realizzazione delle unità di produzione è in fase di studio progettuale. Occorre esaminare la fattibilità dell’impiego delle tecnologie israeliane, le aree con le infrastrutture necessarie per ospitare le due fabbriche che devono essere ubicate in zone sicure vicino a porti o aeroporti.
La joint venture delle due industrie militari rientra in un accordo di cooperazione in materia di sicurezza firmato mercoledì 24 novembre tra Marocco e Israele, durante la visita a Rabat del Ministro della Difesa israeliano Benny Gantz. L’accordo delinea la cooperazione in materia di sicurezza tra i due Paesi “in tutte le sue forme” di fronte a “minacce e sfide regionali”.
Secondo i rapporti israeliani, il Regno del Marocco ha avviato discussioni molto avanzate con le aziende israeliane su numerose questioni tra cui il trasferimento di tecnologia per sviluppare e produrre localmente specifici tipi di droni, oltre all’acquisto del sistema di difesa aerea israeliano Barak 8, studiando il possibilità di sviluppare caccia F5 e acquistare più droni.
Con le due unità di produzione il despota Muḥammad al-Sādis VI intende rafforzare la protezione territoriale da minacce terroristiche, risolvere una volta per tutte il decennale conflitto nel Sahara Occidentale distruggendo il Fronte Polisario, cancellando la Repubblica Araba Democratica del Saharwi e diventare il primo esportatore di droni per il mercato Nord Africano e Africa Subsahariana.
In attesa che questi sogni si realizzino, il despota marocchino ha comprato dalla Turchia droni da combattimenti, relativi armamenti e sistemi di controllo remoto per un valore di 78,6 milioni di dollari. Turchia e Marocco non hanno annunciato formalmente alcun accordo per l’acquisto di droni armati, ma diverse fonti che hanno familiarità con gli accordi hanno fornito dettagli alla Reuters. Un funzionario turco ha affermato che il Marocco ha richiesto l’acquisto di droni Kayraktar TB2 (progettati dal genero del presidente Tayyip Erdogan e quindi un affare strettamente della famiglia del dittatore ottomano), chiedendo anche garanzie sui pezzi di ricambio, formazione e munizioni. Un diplomatico che ha richiesto l’anonimato ha affermato separatamente alla Reuters che il Marocco ha ricevuto il primo lotto di droni armati che ha ordinato lo scorso maggio.
Con questo accordo la Turchia cerca di entrare in concorrenza con Israele, Cina e Stati Uniti giocando sul fatto che i suoi droni da combattimento risultano più economici di quelli venduti dai rivali. I dati ufficiali mostrano che le esportazioni turche nel settore della difesa e dell’aviazione sono aumentate notevolmente in Marocco ed Etiopia. Secondo l’Assemblea degli esportatori turchi, le esportazioni complessive della difesa e dell’aviazione turche hanno totalizzato 2,1 miliardi di dollari nei primi tre trimestri di quest’anno, con un aumento del 39% rispetto agli 1,5 miliardi di dollari dell’anno scorso.
L’Etiopia, nonostante abbia una economia distrutta dalla pandemia Covid19 e dalla guerra civile iniziata nel novembre 2020, si sarebbe indebitata con la Turchia di 51 milioni di dollari per l’acquisto di droni da combattimento. Non si hanno notizie che questi droni siano stati già consegnati. Nella recente offensiva contro il TPLF e il OLA nelle regioni dell’Amhara e del Afar, il regime fascista Amhara ha prevalentemente utilizzato droni di fabbricazione iraniana e cinese acquistati tramite triangolazioni e garanzie finanziarie da parte degli Emirati Arabi Uniti.
Qualsiasi spedizione di droni in Etiopia rischia di alimentare l’attrito nelle relazioni già tese tra Ankara e Il Cairo, che è in contrasto con Addis Abeba per la mega diga idroelettrica GERD sul Nilo Azzurro. Due fonti della sicurezza egiziana hanno affermato che il Cairo ha chiesto agli Stati Uniti e ad alcune nazioni europee di aiutarla a congelare qualsiasi accordo in atto tra Turchia ed Etiopia. Una terza fonte egiziana ha detto che qualsiasi accordo dovrebbe essere rivelato e chiarito nei colloqui in corso tra Il Cairo e Ankara per tentare di normalizzare i rapporti.
I droni, o UAV, riuniscono diverse funzionalità desiderabili in un unico pacchetto. Sono principalmente telecamere di sicurezza nel cielo e sono in grado di trasmettere immagini ad alta definizione in tempo reale al quartier generale. Una volta identificato un bersaglio, può essere distrutto sul posto dalle munizioni guidate trasportate dai droni.
Questo potente mix di raccolta di informazioni, ricognizione e capacità di attacco può essere decisivo in un conflitto, se i droni vengono utilizzati correttamente. I paesi con maggior esperienza operativa nell’uso dei droni nei conflitti militari convenzionali sono Israele e Turchia che, proprio in Marocco, sono impegnati in una battaglia commerciale all’ultimo sangue per l’egemonia dei mercati africani.
I droni sono presentati come armi economiche e la loro efficacità sarebbe stata dimostrata in diversi cambi di battaglia dal Caucaso al Medio Oriente, dal Nord Africa all’Etiopia. Veicoli pilotati in remoto destinati a diventare armi decisive in qualsiasi conflitto moderno. Almeno, così recita la propaganda dei fabbricanti di droni.
In realtà i droni possono essere un’arma decisiva soltanto in battaglie campali contro un nemico sprovvisto di droni o di sistemi di difesa anti droni, come è stato nel recente caso dell’Etiopia. Possono essere utilizzati solo contro carri armati, camion e artiglieria pesante. Risultano inefficaci contro le unità di fanteria a causa del loro limitato armamento. La loro efficacia scende a zero dinnanzi a tattiche di guerriglia. Anche sulla loro economicità vi è molto da discutere. Il loro costo (tenuto segreto) è stimato tra i 45 e i 80.000 dollari per veicolo. I droni necessitano di continui rifornimenti di munizioni di missili.
I produttori hanno seguito la stessa logica della aziende produttrici di stampanti economiche che necessitano continuamente di costose ricariche di inchiostro. Il costo basso (se comparato all’acquisto dei tradizionali caccia) serve come specchietto per le allodole. I droni possono portare al massimo due missili e necessitano di continui ritorni alle loro basi per ricaricare le munizioni che hanno un costo proibitivo. Come nel fucile d’assalto russo AK47 il vero guadagno sta nelle munizioni. Infine molti paesi del terzo mondo, tra cui l’Etiopia, non hanno esperti per poterli pilotare e necessitano di una continua assistenza tecnica che prevede l’uso di mercenari che pilotano in remoto i droni per i clienti.
Nei contratti di vendita è previsto l’addestramento di piloti locali ma le aziende produttrici si stanno rivelando assai riluttanti a traferire in toto la conoscenza tecnologica necessaria per agire in autonomia. Questo avviene sopratutto per le vendite effettuate durante i conflitti. Il governo di Tripoli o il regime fascista Amhara non hanno tempo né sono in condizioni di forza per pretendere una formazione adeguata, così pagano alle aziende produttrici svariati milioni extra per poter usufruire dei servizi di tecnici mercenari e tentare di sconfiggere il nemico prima di essere vinti.
I produttori di droni da combattimento israeliani e turchi concordano che i migliori affari sono quelli fatti con regimi dittatoriali deboli e in pericolo. Per ottenere immediate vittorie, effimere o reali, non discutono sul prezzo e abboccano ai tranelli delle munizioni (non prodotte in loco) e dei mercenari di pilotaggio in remoto. I produttori vendono quantitativi di droni e armi fino a quando non stimano che la capacità finanziaria della dittatura non sia esaurita. Dopo di che le vendite vengono effettuate solo solo se c’è un paese terzo che assicura i fondi necessari per la dittatura (nel caso dell’Etiopia, gli Emirati Arabi Uniti) o in cambio di accordi (stracciati) di sfruttamento delle risorse naturali dell’acquirente.
Il rischio per molte dittature, etiope compresa, è quello di spendere delle fortune in droni e armamenti svendendo le risorse naturali destinate allo sviluppo dei propri paesi e facendo collassale le loro economie, senza ottenere alcuna garanzia di vittorie definitive e durature. Una volta che le forniture si interrompono il nemico ha grosse possibilità di riconquistare i terreni perduti e di sconfiggere l’avversario. I droni senza un esercito vero e proprio, ben armato e motivato, non sono in grado di assicurare da soli la vittoria finale.

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