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Libia, gli accordi con Il governo e la Guardia costiera libici un crimine contro l’umanità

Con le chiacchiere è facile anche per quelle forze politiche vicine alla tematica dell’anti-razzismo fare propaganda, ma, alla prova dei fatti delle decisioni politiche, anche quelle stesse forze politiche non sembrano molto lontane dai loro concorrenti. Facciamo alcuni veloci esempi.

Lo ius soli, che sarebbe una misura di civiltà minima, è uno slogan utilizzato per marcare la diversità rispetto alla destra, ma resta nella timida testa di qualche legislatore.

La regolarizzazione dei lavoratori delle campagne è una presa in giro, dei lavoratori stessi e di chi crede nella dignità del lavoro uguale per tutti.

Il rifinanziamento della missione in Libia. Sono passati oltre 2 anni dalla firma del Memorandum d’intesa Italia-Libia e molto probabilmente il governo italiano nelle prossime ore voterà la proroga della missione di assistenza alla Guardia costiera Libica, nonostante il Governo di Tripoli faccia solo generiche promesse di rispetto dei diritti umani, continuino le sparizioni forzate dei migranti respinti in Libia – documentate dalle Nazioni Unite – all’interno di strutture finanziate lautamente dal governo italiano.

Per quanto riguarda poi gli interventi più ampi della Farnesina nel cosiddetto “Fondo Africa” di 200 milioni, in gran parte gestito dalla Cooperazione, sia con interventi d’emergenza che di stabilizzazione,  l’ASGI (Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione) ne ha analizzato i progetti.

Non si tratta solo dei progetti partiti a fine 2017 a sostegno di donne e bambini detenuti arbitrariamente a Tripoli nel Centro di Tarek al Matar – ora chiuso a causa del conflitto –  ma anche del bando dell’AICS, l’Agenzia per la Cooperazione italiana, che ha consentito l’accesso delle Ong italiane ad altri centri di detenzione a Zawya, Khoms e Tajoura, le cui condizioni critiche sono state segnalate nello stesso bando di AICS. I nove progetti della Farnesina in Libia, alcuni dei quali sono ancora in corso di realizzazione, prevedono un costo di spesa pubblica di oltre 6 Milioni.

Secondo l’analisi di ASGI,  l’obiettivo dell’intervento delle Ong italiane non era di tentare di risolvere le gravi criticità individuate nei centri di detenzione, di cui sopra, ma di migliorarne le condizioni sanitarie, nutrizionali ed igieniche, per il tempo determinato dalla durata dei progetti.

Che cosa ci dice invece l’analisi di ASGI?

Ci fa sapere che le organizzazioni italiane attive in Libia, oltre che occuparsi della distribuzione di beni di prima necessità, hanno anche in qualche modo riabilitato i centri di detenzione stessi, che teoricamente sono sotto il controllo del ministero degli interni, ma che in realtà sono gestiti dalle milizie locali, spesso le stesse coinvolte nel traffico di migranti. In altre parole, dai resoconti finanziari raccolti da ASGI, con il supporto della Cooperazione italiana e attraverso la collaborazione di organizzazioni libiche locali, sono state ampliate le strutture esistenti, contribuendo a finanziare la stessa illegittima detenzione di persone in condizioni disumane. Gli interventi includono la costruzione di bagni, ma anche la costruzione di muri e cancelli, il ripristino dell’energia elettrica o la sostituzione di finestre. Dai racconti dei direttori dei centri di detenzioni di Khoms e di Sabaa a Tripoli emerge che in alcuni casi gli stessi migranti sono stati utilizzati per costruire muri di recinzione e ampliare le strutture.

I rendiconti contabili e finanziari che l’AICS ha trasmesso sono in alcuni casi “voci di spesa generiche, approssimative e talora di importi identici ed arrotondati”, fa sapere l’ ASGI. Inoltre rimane impossibile sapere che cosa ne facciano le milizie libiche dei materiali donati ai centri quando gli operatori delle Ong li lasciano.

Secondo il parere dell’ASGI, gli interventi così realizzati nei centri di detenzione non sono più sostenibili nel tempo, perché “non ambiscono ad un miglioramento durevole delle condizioni dei centri, né ad un meccanismo che impegni il governo libico ad assumere la responsabilità di assicurare una detenzione rispettosa dei diritti fondamentali”. “Non può così escludersi che di almeno parte dei fondi abbiano beneficiato i gestori dei centri, ossia quelle milizie che sono talora anche attori del conflitto armato sul territorio libico nonché autori delle già ricordate sevizie ai danni dei detenuti”, conclude l’ASGI.

A quando una revisione degli accordi con la Libia? Oppure il nostro obiettivo di politica estera e di diplomazia è quello di sottometterci ad accordi con Paesi che violano pesantemente i più elementari diritti umani (vedi anche l’Egitto)?

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