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Corno d’Africa, Eritrea accusa gli Usa di destabilizzare l’Etiopia

Il dittatore eritreo Isaias Afwerki, sotto pressione internazionale per il suo coinvolgimento nel conflitto in Tigray, passa all’attacco rispolverando vecchie teorie del complotto imperialista e accusando gli Stati Uniti di destabilizzare da decenni l’Etiopia. Il Ministro degli Esteri eritreo ha accusato le amministrazioni statunitensi che hanno sostenuto il Movimento di liberazione del popolo del Tigray (TPLF) negli ultimi 20 anni per l’attuale conflitto nella regione del Tigray, nel nord dell’Etiopia, aggiungendo che incolpare l’Eritrea per i combattimenti risulta infondato.

Il secondo attacco è stato sferrato al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, dove una lettera ufficiale del regime eritreo accusa l’attuale amministrazione Biden di “alimentare ulteriori conflitti e destabilizzazione attraverso interferenze e intimidazioni nella regione, per resuscitare i resti del regime del TPLF”. La lettera non fa menzione delle truppe eritree nel Tigray, nonostante gli appelli internazionali al loro ritiro.

L’Eritrea ha riconosciuto solo ad aprile che le sue forze stavano prendendo parte alla guerra durata mesi nel Tigray. In seguito, il ministero degli Esteri etiope ha annunciato che le forze eritree stavano iniziando a ritirarsi dal Tigray dopo aver combattuto dalla parte del governo. A grande sorpresa ora troviamo le truppe eritree ovunque e oltre i confini del Tigray: a presidiare i confini con il Sudan o a combattere il Oromo Liberation Army in Oromia esportando anche la cieca violenza sui civili dimostrata in Tigray.

Il regime eritreo ha anche criticato il recente annuncio del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti sulle restrizioni sui visti per gli attuali o ex funzionari del governo e dell’esercito eritreo ed etiope, dicendo che è stato solo l’ultimo di una serie di “atti unilaterali di intimidazione e interferenza”. Meno di due settimane fa, 10.000 etiopi hanno protestato contro la posizione degli Stati Uniti nei confronti del loro paese. A questo proposito la protesta contro il “Grande Satana Americano” si è tramutata inpuro fallimento. I promotori (i dirigenti nazionalisti Amhara) avevano previsto alla vigilia un milione di dimostranti in tutto il paese e 100.000 ad Addis Ababa. A livello nazionale i manifestanti non superarono i 150.000 e ad Addis 10.000

Di ritiro delle truppe eritree non se ne parla nemmeno. Ora sono impegnate alla grande offensiva decisiva (la quinta) denominata dal Premier etiope: The Final War (la Guerra Finale). Secondo le previsioni gli eserciti congiunti etiope ed eritreo assieme alle milizie Amhara sconfiggeranno definitivamente il TPLF prima delle elezioni. A questo scopo 40 t di fosforo bianco sono arrivate all’aeroporto di Mekelle domenica scorsa secondo quanto riferiscono fonti credibili tra esse il giornalista sudafricano Martin Plaut.

In attesa della vittoria totale del Premio Nobel per la Pace etiope giunge una presa di posizione sul conflitto da parte dell’Ambasciata d’Italia ad Addis Ababa. “L’Italia aderisce all’appello internazionale per un cessate il fuoco umanitario in Tigray. La popolazione civile deve essere protetta, le attività agricole devono essere facilitate e l’accesso agli aiuti umanitari deve essere garantito a tutta la popolazione Etiope” Questo è il comunicato ufficiale emesso ieri dall’Ambasciata d’Italia ad Addis Ababa e diffuso sui social media.

L’appello al cessate il fuoco è frutto di una iniziativa Anglo Americana dello scorso 3 giugno a seguito dei vari rapporti di associazioni internazionali in difesa dei diritti umani e di prestigiose testate giornalistiche tra le quali l’americana New York Times e la britannica The Telegraph che documentavano atrocità inaudite commesse dalle truppe di occupazione eritree e dall’esercito federale etiope compreso l’uso di armi chimiche (fosforo bianco) sulla popolazione in Tigray. Sei paesi europei avevano aderito alla richiesta: Danimarca, Francia, Germania, Irlanda, Norvegia e Svezia. L’Italia si era trincerata in un incomprensibile silenzio. Il 5 giugno 2021 il governo federale etiope ha rifiutato di applicare il cessate il fuoco sfidando le potenze occidentali. Il 8 giugno annuncia la Total War in Tigray.

Al momento il comunicato pubblicato dall’Ambasciata d’Italia non trova riscontro presso il sito ufficiale del Ministero Affari esteri Elenco Comunicati o sulla pagina Twitter ufficiale del Ministro Luigi Di Maio, del resto inspiegabilmente molto incentrata sul suo partito e questioni di politica interna. Notizie inerenti al Ministero che dirige, molto rare.

Per quale motivo il doveroso allineamento dell’Italia alla legittima richiesta di cessate il fuoco sembra essere affidato unicamente alla rappresentanza diplomatica di Addis? Un’anomalia incomprensibile visto che si tratta di un atto di alta valenza diplomatica e una presa di posizione che può creare conflittualità tra due Stati Sovrani. La risposta ci fa addentrare nel mondo della politica silenziosa dove nessuno deve rendere conto ai cittadini e gli affari seri vengono decisi da poche persone, quelle giuste. Questa è la sensazione che il MAE ha esteriorizzato attraverso i suoi silenzi anche sulle più legittime domande, come se non solo il Tigray ma l’intera Etiopia fosse sparita dalla cartina geografica.

Nel comunicato si evita accuratamente la questione dell’Eritrea. Per ora il delicato tema del ritiro delle truppe di invasione eritree non è stato sufficientemente trattato dal nostro Ministero Esteri e dal Governo rispetto invece alle chiare richieste di ritiro da tempo avanzate da Stati Uniti e dalla maggioranza dei Paesi membri della U.E.

Quale spiegazione possiamo dare su questo comportamento?

Ritornando indietro nel tempo nel 2019 il governo italiano nutriva forti speranze di riappacificazione con l’Eritrea a seguito della pace firmata tra i Premier Abiy e Afwerki. Pace che si è rivelata una tregua del conflitto eritreo – etiope iniziato nel 1998 e ora ripreso in Tigray. Unica differenza: il cambio di alleanze.

All’epoca si parlava di rilanciare la cooperazione economica con Asmara, di investimenti italiani. Addirittura si arrivò tutti entusiasti a sognare la riattivazione della cooperazione italiana in Eritrea con tanto di ufficio della AICS ad Asmara. Sogni infranti dalla brutale chiusura dello storico dell’Istituto Italiano Statale Omnicomprensivo di Asmara. Segno evidente che non può esserci una franca collaborazione con un regime totalitario stalinista.

Questi regimi sono allenati a trarre il massimo profitto finanziario dall’ingenuità altrui ma a imporre unilateralmente la loro volontà. Nonostante il gelo della ripresa della cooperazione economica e (in secondo piano) quella umanitaria provocato dalla chiusura della scuola italiana, Afwerki non ha smesso di godere di certe velate attenzioni dall’Italia.

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