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La nuova frontiera tunisina al limitar d’Europa

Non è certo un quadro confortante quello che emerge dai dati del Viminale sui nuovi migranti, diffusi questa estate. Nonostante le rassicurazioni del governo sull’efficacia dei provvedimenti adottati e l’attivismo ostentato dalla Presidente Meloni fra Bruxelles, Tunisia e Roma, volto a accreditare una linea di fermezza dal piglio sicuro dentro e fuori l’Italia, gli sbarchi sull’sola di Lampedusa si sono moltiplicati e niente sembra in grado di arrestarli. Se non le avverse condizioni del mare. Ossia, un dramma che si aggiunge, quando capita, a un altro dramma.

Se guardiamo i grafici del Ministero degli Interni, vediamo che il numero dei migranti è passato dai 38.334 del 2021 ai 113.483 del 2023, almeno fino ad agosto.  Mese, ancora in aggiornamento, che ha fatto registrare punte di oltre 3.000 sbarchi giornalieri. Sono uomini, donne in stato di gravidanza, ragazzi e perfino bambini, portati in braccio da amici o conoscenti. Non c’è da scandalizzarsi. Non è una novità lasciare a altri i propri figli quando le condizioni di vita sono insostenibili. È successo nell’Italia rurale afflitta da povertà e miseria. Succede nelle aree più povere del mondo, dove c’è la fame e le speranze di vita sono poche.  E succede, mascherato in altre forme persino più abiette, nelle degradate periferie urbane dei nostri Paesi civili, come la cronaca racconta con allarmante frequenza. Ma, nel caso dei migranti, ciò pone un problema ulteriore, che aggrava quello già sollevato dai troppi minori non accompagnati presenti nel territorio e della cui destinazione, una volta arrivati, si sa ben poco.

Protestano i Sindaci, in polemica con il Viminale per la politica di redistribuzione regionale attuata senza mettere a disposizione dei Comuni le risorse necessarie a gestire il genere di accoglienza diffusa stabilita per decreto, dopo i fatti di Cutro, in modo estemporaneo, senza una preventiva misurazione della sua reale possibilità di successo. Esaurito l’effetto di propaganda che voleva un governo deciso a risolvere il problema definitivamente, l’assenza di una strategia collaudata e di progetti mirati è apparsa in tutta la sua allarmante nullità.

Né si intravedono progressi su questo versante perché la questione continua a essere relegata politicamente fra i temi fastidiosi che possono minare il consenso. Sia a destra che a sinistra. A destra, perché il grido “rimpatriamoli” è destinato a disperdersi nel vento,lasciando il posto a un frustrante senso d’impotenza. Nessun Paese europeo ci riesce. E nemmeno la Gran Bretagna, nonostante l’ostinazione del Premier Sunak, che ha già predisposto persinochiatte in mare in attesa delle espulsioni da avvenire. A sinistra, perché è piuttosto l’indignazione ad avere il sopravvento,sopperendo alla mancanza di un piano alternativo esauriente che possa fare seria concorrenza alle proposte governative. Il reato di solidarietà, imputato alla Meloni, è uno slogan a effetto che finisce lì. Dietro, traspare solo il buon proposito di accogliere tutti senza, tuttavia, spiegare modi, tempi, luoghi e fini di un processo che, se l’umana pietà fa sembrare facile, il realismo politico consiglia di affrontare con la debita preparazione.

E allora, per evitare imbarazzi, si preferisce affidare a qualcun altro la responsabilità di risolvere il problema. Alla Tunisia, pagandone i servigi. All’Europa, levando alte proteste e accuse di indifferenza che non guastano, in vista della campagna elettorale prossima. Scegliendo nel frattempo la via più comoda di continuare a parlare di emergenza quando, invece, il problema è ormai strutturale e farsene scudo per giustificare la persistente impreparazione del Paese, sia in termini culturali che nel modus operandi approntato a livello nazionale. Privo ancora di un protocollo autonomo che sia stilato non per mettere pezze all’emergenza, ma per normalizzare, senza proprio e altrui danno, eventi irreversibili che stanno riscrivendo la storia europea.

Vi è una nuova linea di confine – passato il mare guadagnatadalla Tunisia. È la prima linea di terraferma incontrata ai limiti meridionali dell’Europa. Varcarla non è impossibile. Val la pena correre qualche rischio per approdare in un altro mondo, ritenuto esser meglio del proprio e, perciò, desiderato. Una frontiera sottile, impossibile da proteggere dalla sponda europea. Che non è, tuttavia, interesse precipuo della Tunisia rafforzare, impedendo le partenze, anche se ciò può rivelarsi poco lungimirante per il futuro del Paese africano. Non lo era e non lo è della Libia. Né di altri Paesi del continente africano, afflitti da problemi interni più gravi e drammatici. Mentre l’interesse dell’Italia e dell’Europa è di saper vedere nei nuovi eventi, che la storia fa registrare, quali tappe del proprio cammino di civiltà essi possono rappresentareaffinché lo stesso prosegua con fiducia verso nuovi traguardi. Come sempre è avvenuto nel corso dei millenni. Per farlo, serve un’analisi obiettiva, serve un piano iscritto in una visione storica del Paese prossimo venturo che possa restituire un progettopertinente, su cui lavorare con continuità e discernimento.

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