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Il dolore dimenticato. A un mese dal sisma in Afghanistan


Da un mese tutta la nostra attenzione è rivolta a seguire i drammatici avvenimenti in Israele e Palestina e di nuovo abbiamo completamente trascurato una parte del mondo così tanto martoriata da decenni da non fare più notizia. Si parla di centinaia di dispersi e più di 1500 morti ufficiali, ma fonti interne arrivano a contare più di tremila le vittime del terremoto che un mese fa haridotto in macerie la provincia di Herat in Afghanistan, con scosse che continuano a susseguirsi in modo violento fino ad oggi.


L’epicentro del terribile sisma terribile, di intensità 6.3, è stato localizzato a pochi chilometri da Herat, nel villaggio di Zinda Jan, che è stato completamente raso al suolo. Le tradizionali case di fango del villaggio sono collassate uccidendo praticamente tutti gli abitanti. Danni ingenti in tutta la zona rurale, con la rete idrica gravemente danneggiata. Ad avere subito enormi danni è stata anche l’antica città Herat. Molti dei suoi monumenti e parte della storica moschea, antica più di ottocento anni, sono stati distrutti dal sisma. Enormi i danni alla cupola, della moschea, che è stata ora smontata e messa in sicurezza per paura di ulteriori crolli.


“ Il 7 ottobre era una mattina come le altre, eravamo usciti per andare al lavoro, le mamme avevano preparato i figli per la loro giornata a scuola, mentre loro erano rimaste a casa con le figlie femmine, alle quali da un paio di anni non è più consentito seguire le lezioni. La terra ha cominciato a tremare all’improvviso così violentemente, come se fuoriuscisse dall’orbita e noi fossimo l’ultima generazione a vedere cosa stesse succedendo…” così inizia il resoconto del professor Rafiullah Rasooli, che insegna Pittura alla facoltà di Belle Arti dell’Università di Herat. “Noi stavamo svolgendo un esame proprio all’interno dell’Università, la cui struttura ha fortunatamente tenuto. Il terrore ci ha travolti, una nube nera ha avvolto l’intera città, nessuno ricordava una cosa del genere nemmeno dopo decenni di guerra ed esplosioni. Per anni le case hanno rappresentato un rifugio sicuro durante il periodo della guerra e dell’occupazione, le loro mura hanno protetto dalle pallottole, ma quel giorno si sono sbriciolate in un secondo. Le scuole, l’università, gli ospedali…il panico si è diffuso ovunque.” La scossa si è ripetuta con altrettanta violenza un quarto d’ora dopo la prima e nei giorni successivi, con scosse di assestamento ancora oggi.


La popolazione, fisicamente e psicologicamente già provata, vittima di quotidiane esplosioni dovute a decenni di guerra che questo martoriato paese ha dovuto sopportare, si è riversata nelle strade terrorizzata. Un’altra tragedia si è sommata alla già precaria situazione umanitaria. Distruzione ovunque, in città e in tutta la provincia, interrotte per giorni le comunicazioni, le strutture abitative e sanitarie danneggiate e gli ospedali rimasti in piedi al collasso.

Ad un mese di distanza la popolazione civile è ormai allo stremo; la maggior parte dei sopravvissuti al sisma sta vivendo in tendopoli improvvisate per strada, nei parchi, addirittura nei cimiteri. Manca tutto. Il costo delle tende, oggi introvabili, è triplicato nei giorni immediatamente successivi al sisma. Il professor Rasooli ci racconta di aver dormito per settimane nel cortile dell’Università all’addiaccio.

Il rischio che la già precaria situazione sociale ed economica del paese collassi è più che evidente, il 97% della popolazione è sotto la soglia di povertà, l’attenzione della comunità internazionale è distratta su altri fronti, ma la crisi umanitaria in Afghanistan è ormai gravissima e l’inverno è alle porte.

Photo credit: Rafiullah Rasooli

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