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Etiopia, il misterioso messaggio diplomatico di Abiy alle cancellerie occidentali

Dal 14 al 17 giugno l’ufficio del Primo Ministro e il Ministero degli Esteri etiope hanno inviato delegazioni presso tutte le cancellerie occidentali con il compito di recapitare un messaggio confidenziale da parte del Premier Etiope. Un messaggio talmente confidenziale che Addis Ababa ha preferito spendere una colossale somma per i viaggi e spese di soggiorno di oltre 20 delegati inviati in vari Paese europei e del Nord America invece di utilizzare i normali canali di posta diplomatici.
Il misterioso messaggio è stato trasmesso al Inviato Speciale americano per il Corno d’Africa a Washington (Jeffrei Feltman) da Mama Mehrutu, Consigliere Speciale del Premier etiope e da Tekeda Alemu, ex Ministro degli Affari Esteri. A Roma il messaggio, rivolto al Presidente del Consiglio Mario Draghi e al Ministro degli Esteri Luigi Di Maio è stato trasmesso di persona dal Procuratore Generale Gedion Timothewos.
Tutte le cancellerie occidentali hanno informato sia degli incontri sia del messaggio ricevuto dal Premier etiope senza però divulgare i contenuti. Sul sito ufficiale della Farnesina, in un breve e generico comunicato dello scorso 14 giugno, oltre ad accennare al messaggio ricevuto dal Premier etiope si afferma “Da parte della delegazione etiope, si è assicurato che Addis Abeba si sta impegnando ai massimi livelli per fornire riposta alle preoccupazione dei partner internazionali sulla crisi in Tigray”.
Insomma, nessuna cancelleria occidentale ha voluto specificare che tipo di messaggio ha ricevuto dal governo etiope a meno di una settimana dalle elezioni. Il solo accenno ai misteriosi messaggi è stato pubblicato all’interno di un articolo di analisi uscito oggi sul quotidiano britannico The Guardian. “I diplomatici occidentali hanno ricevuto assicurazioni private da alti ministri etiopi che le restrizioni all’accesso umanitario alle aree di carestia potrebbero essere allentate una volta terminate le elezioni”.
L’articolo informa anche dell’avvertimento dei diplomatici occidentali, probabile risposta al messaggio “confidenziale” del Premier Abiy. “se i cambiamenti promessi non avranno seguito dopo le elezioni, sarà applicata un’ulteriore pressione internazionale collettiva”.
Queste frammentarie informazioni (le sole al momento disponibili da media accreditati) sembrano confuse e le domande insorgono. Perché attendere le elezioni per allentare l’accesso umanitario alle aree off-limits del Tigray, che corrispondono a circa 80% del territorio della regione?
La risposta data dalle diplomazie occidentali (secondo il The Guardian) lascia intendere che l’esito delle elezioni (a priori a favore del Partito della Prosperità) sarà in un qualche modo accettato nonostante che da tre settimane Stati Uniti e i principali governi europei (quelli che contano veramente), assieme alla stampa internazionale, stiano ripetendo che non sono inclusive e rappresentative a causa dei conflitti in atto e all’esclusione di quasi 29 milioni di elettori?
Possiamo configurare una specie di ultimatum nella risposta data: “O mantenete le promesse contenute nel messaggio del Premier Abiy o vi saranno conseguenze pesanti tramite azioni più energiche e azioni collettive”?
Fonti africane ben introdotte nei circuiti diplomatici internazionali offrono maggior dettagli sul misterioso messaggio del Premier etiope alle cancellerie occidentali. Secondo queste fonti il messaggio sarebbe stato più specifico e non concentrato sull’accesso alla assistenza umanitaria. Il Primo Ministro Abiy avrebbe assicurato i partner occidentali che il “imbarazzo” causato dal conflitto in Tigray finirà entro poche settimane, garantendo una vittoria totale sul TPLF e il ripristino alla normalità.
Abiy avrebbe inoltre chiesto il riconoscimento degli esiti elettorali in cambio del rispetto degli accordi presi sottobanco con vari paesi occidentali tra cui Stati Uniti, Francia e Italia. Accordi che riguardano la spartizione di un succulento bottino economico derivante dalla privatizzazione delle migliori aziende statali che verrebbe addirittura accelerato, assicurando che la fetta più grossa sarà riservata a Stati Uniti e Unione Europea, Italia compresa.
Come gesto di buona volontà il governo etiope una settimana fa ha preferito firmare gli accordi di joint venture con Ethio Telecom con un consorzio occidentale guidato da compagnie anglo americane rispetto alla offerta (più conveniente) ricevuta da multinazionali cinesi. Questa decisione, interpretata come un tentativo di calmare i partner occidentali e ricucire le profonde fratture createsi soprattutto con gli Stati Uniti, avrebbe originato note di rammarico e risentimento dell’Ambasciata cinese ad Addis Ababa. I diplomatici cinesi avrebbero interpretato questa scelta come un segno di ingratitudine soprattutto dopo che la Cina ha assicurato un grosso quantitativo di armi e munizioni trasportate in Etiopia utilizzando la compagnia di bandiera Ethiopian Airlines.
Secondo queste fonti le diplomazie occidentali sarebbero state ampiamente informate della quinta offensiva militare in atto nel Tigray ricevendo assicurazioni che le truppe eritree ed etiopi otterranno una vittoria finale entro breve. Per quanto riguarda l’accesso umanitario esso non sarebbe garantito immediatamente ma dopo un “ragionevole” lasso di tempo per eliminare le eventuali sacche di resistenza del TPLF e, forse, per cancellare prove e testimoni dei crimini…
Per quanto riguarda la giustizia dei crimini di guerra e pulizie etniche commesse sarebbero già pronti alcuni capri espiatori compresi alcuni ufficiali sia etiopi che eritrei, facendo passare il tutto come iniziative individuali contrarie agli ordini ricevuti che verranno punite severamente con tanto di processo pubblico.
Anche il ritiro delle truppe eritree avverrà “quando le condizioni lo permetteranno per evitare in Tigray l’effetto Afghanistan”. Notare che il governo di Addis Ababa parla solo del futuro ritiro delle truppe eritree dal Tigray. Quelle stanziate ai confini con il Sudan e in Oromia sarebbero escluse in quanto la situazione militare rischia di rimanere ancora instabile in questi due settori anche dopo una eventuale vittoria definitiva in Tigray.
Le fonti non hanno presentato prove concrete a sostegno della loro rivelazioni che, di conseguenza, devono essere prese con il beneficio del dubbio.
Eppure in questi ultimi due mesi stiamo assistendo a delle palesi lacune informative e a balletti diplomatici che danno l’impressione che le potenze occidentali non siano ancora disposte ad attuare misure energiche contro due regimi che stanno commettendo un genocidio in Tigray. Prendiamo in analisi le principali lacune informative e silenzi diplomatici.
Uso di armi chimiche. Legenda o drammatica realtà?
La dettagliata denuncia fatta lo scorso 24 maggio dal quotidiano britannico The Telegraph di uso di fosforo bianco sulla popolazione civile del Tigray supportata da referti medici, foto delle vittime e dal parere di due esperti internazionali di armi chimiche, assieme all’allarme lanciato dal giornalista sudafricano Martin Plaut dell’arrivo e stoccaggio a Mekelle di 40 tonnellate di fosforo bianco tre settimane fa; non hanno trovato eco sui principali media internazionali nonostante l’importanza di queste notizie e le loro gravi implicazioni sul terreno, in primis su 7 milioni di cittadini etiopi.
Genocidio. Un termine da non pronunciare.
Come fu nel caso del Ruanda nel 1994 anche nel conflitto in Tigray la comunità internazionale si dimostra reticente a utilizzare il termine “genocidio”. “Le Nazioni Unite, Unione Europea, Stati Uniti e Unione Africana sono a conoscenza fin nei minimi dettagli del genocidio in atto in Tigray ma esitano a dichiararlo in quanto seguirebbe l’obbligo (almeno morale) di intervenire militarmente per fermarlo. Al suo posto si parla di carestia indotta dall’uomo e di violenze sessuali, crimini di per sé gravissimi ma che non obbligano un intervento militare” spiega la nostra fonte diplomatica presso la U.A.
Notare che il termine Genocidio è ancora tabù anche sui media occidentali nonostante le schioccanti rivelazioni del Ministro finlandese degli Esteri dello scorso 15 giugno che chiariscono un piano premeditato di sterminio totale in Tigray a lui notificato dalle autorità etiopi in persona nel febbraio 2021.
Final War in Tigray.
La quinta offensiva, lanciata prevalentemente dalle truppe eritree con l’ausilio dei soldati federali e delle milizie Amhara, di fatto non esiste sulla stampa internazionale, fatta eccezione di qualche rara testata nazionale.
Eppure sono disponibili fin troppe testimonianze provenienti dal Tigray compreso l’escalation di ricoveri d’urgenza presso i pochi ospedali rimasti intatti nella regione di centinaia di persone (molti civili) con gravi ferite da arma da fuoco. A questi si sono aggiunti negli ultimi due giorni dichiarazioni ufficiali da parte della dirigenza del TPLF, anch’esse ignorate dai media internazionali. Alcune fonti che godono della massima credibilità parlano del probabile uso di fosforo bianco nel tentativo di spezzare la resistenza delle Forze di Difesa del Tigray.
Il conflitto in Oromia non esiste.
È questa l’impressione che si ha verificando la copertura mediatica della crisi etiope offerta dai media occidentali.
Nessuno parla del conflitto in atto in Oromia e tanto meno della presenza nella regione (che ospita anche la capitale) di 30.000 soldati eritrei. Eppure il conflitto tra esercito federale e il Oromo Liberation Army è iniziato lo scorso febbraio, radicalizzandosi sempre di più. In marzo il OLA era a 80 km da Addis Ababa costringendo il Premier Abiy a chiedere aiuto alle truppe eritree per la difesa della capitale.
Bloccata l’offensiva i soldati eritrei a metà maggio hanno lanciato una controffensiva e combattimenti sono attualmente in corso in varie zone dell’Oromia, obbligando la Commissione Elettorale NEBE a non aprire i seggi elettorali in tutte le zone teatro di scontri tra eritrei e guerriglieri OLA.
Come è possibile questo silenzio quando le informazioni (assai numerose e dettagliate) sono disponibili online, offerte dai media Oromo? Meriterebbero almeno una analisi per verificare la loro veridicità…
Queste lacune informative come vanno interpretate?
Secondo la fonte diplomatica africana l’occidente avrebbe ancora molti interessi in Etiopia. Nonostante le condanne dei crimini commessi in Tigray, ancora si spererebbe in una vittoria contro il TPLF per ritornare alla “normalità”, dimenticare il passato, riprendere il processo di riabilitazione del dittatore eritreo Iasias Afserki incoraggiato dal Premier etiope e dalle monarchie feudali di Arabia Saudita – Emirati Arabi Uniti; convalidare la “vittoria” elettorale di Abiy per (finalmente) fare grossi affari in entrambi i Paesi.
“Le potenze occidentali sono in questo momento sulle spine. Se l’offensiva militare fallisce in Tigray la situazione di inerzia dell’Occidente diventerà insostenibile e i vari governi saranno costretti a intervenire più energicamente contro Eritrea ed Etiopia come già minacciato da vari diplomatici come risposta al messaggio del Premier etiope. Questo significa trovare altri partner alternativi per assicurarsi la continuazione dell’influenza economica sui due Paesi. Un esercizio non facile e pieno di incognite.” spiega la fonte.
Che conclusioni possiamo trarre da tutto questo?
Come precedentemente sottolineato le “rivelazioni” della nostra fonte devono sottostare al beneficio del dubbio. Eppure rimangono palesi lacune informative e silenzi diplomatici su temi di vitale importanza della crisi etiope iniziata non il 4 novembre 2020 ma nel luglio 2020 con l’assassinio di Stato del cantante e attivista Oromo Haacaaluu Hundeessaa e il conseguente massacro di civili Oromo sia in Oromia che ad Addis Ababa ordinato dal Premier etiope.
Si ritiene lecito sollevare dinnanzi all’opinione pubblica queste incongruenze e questi timori che, per quanto riguarda l’Italia, possono essere confermati o sconfessati in toto solo da pubbliche dichiarazioni della Farnesina sulla situazione. Sarebbe un atto dovuto e coerentemente ai principi di trasparenza dell’operato di una istituzione governativa che in una matura Democrazia, risponde ai cittadini senza applicare “politiche silenziose”.
Rimanendo in attesa di una auspicabile presa di posizione, almeno del governo italiano, riportiamo le dichiarazioni fatte oggi dal portavoce del TPLF: Getachew K. Reda sui principali social. Reda afferma che la quinta offensiva eritrea-etiope sarebbe fallita. Afferma anche che è in atto una contro offensiva del TDF che impegna ben quattro divisioni.
Notizie che potrebbero guastare i festeggiamenti della vittoria elettorale (già decisa a tavolino) del Premio Nobel per la Pace etiope e costringere a rivedere presunti accordi sotto banco e l’inspiegabile immobilismo occidentale. Anche per queste dichiarazione del TPLF occorre porci una doverosa domanda. Verità o Propaganda? Nei prossimi giorni molte domande troveranno risposte.

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