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Etiopia – Eritrea, dopo i missili su Asmara a rischio stabilità in tutto il Corno d’Africa

Il conflitto in Etiopia tra forze militari governative e fronte di liberazione del popolo del Tigray si estende all’Eritrea. Razzi lanciati dalla regione settentrionale etiope sono caduti nella serata di sabato su Asmara, capitale eritrea, nella zona dell’aeroporto. Non sono state ancora diffusi bollettini sulle vittime e sull’entità dei danni, ma lo scalo non sarebbe stato colpito.
Dallo scorso 4 novembre, quando il primo ministro etiope Abyi Ahmed ha lanciato un’offensiva militare nella regione del Tigray in risposta a una serie di presunti attentati  contro avamposti militari da parte dei ribelli, quello di ieri è il primo attacco verso un altro paese della regione.
A confermare questa mattina il lancio dei missili lo stesso presidente dello Stato regionale etiope del Tigray, Debretsion Gebremichael, il quale ha annunciato che le sue forze hanno bombardato l’aeroporto della capitale dell’Eritrea.
Il timore che il conflitto etiope possa estendersi nell’intero Corno d’Africa è dunque molto concreto.
In conferenza stampa, Gebremichael ha più volte fatto riferimento a un coinvolgimento del governo eritreo nell’operazione militare nel Tigrè, affermando che l’esercito di Asmara ha dispiegato ben “16 divisioni” lungo il confine con l’Etiopia e che i militanti del Tigray stanno contrastando da giorni le forze eritree su diversi fronti”.
Il presidente dello Stato regionale esautorato da Addis Abeba non ha esitato a minacciare altri attacchi, sottolineando che fino a quando ci saranno truppe ostili nel territorio del Tigray, i suoi soldati’ “apriranno il fuoco e colpiranno ogni legittimo obiettivo militare”.
Il leader tigrino ha però escluso l’intenzione di colpire la capitale dell’Etiopia.
Non ci sono ancora, al momento in cui scriviamo, reazioni e dichiarazioni delle autorità eritree in risposta alle dichiarazioni di Gebremichael, mentre è arrivata quella di Addis Abeba.
“La giustizia prevarrà. L’Etiopia prevarrà” ha scritto sul suo profilo Twitter il primo ministro etiope Abiy Ahmed Ali, pubblicando una nota in cui sottolinea come “la campagna per mantenere la legge nella regione del Tigrè stia procedendo bene” e che “lo stato regionale sarà costretto a rispondere delle sue responsabilità con azioni mirate a destabilizzare l’Etiopia attaccando anche suoi alleati”.
Il governo dell’Etiopia, secondo diverse fonti, ha richiamato migliaia di truppe finora impegnate ad aiutare la Somalia a fronteggiare la minaccia jihadista per impiegarle nel conflitto interno.
Abiy dopo aver incassato l’appoggio di tutti gli altri Stati regionali etiopi per l’azione repressiva nel Tigray, aveva avuto il benestare dell’Eritrea, con la quale l’Etiopia ha firmato uno storico accordo due anni fa che aveva posto fine ad anni di tensioni. Intesa per la quale gli era stato assegnato nel 2019 il premio Nobel per la pace, cosa che oggi imbarazza non poco l’Accademia di Stoccolma.
L’attacco nella regione ribelle è già costata centinaia di vite, sia di militari rimasti negli scontri che di civili coinvolti nei bombardamenti, mentre migliaia di altri sono fuggiti verso il vicino Sudan. Già oltre 25 mila profughi.
Sia le Nazioni Unite che l’Unione africana hanno espresso negli ultimi giorni il timore che il conflitto possa allargarsi in altre zone dell’Etiopia e destabilizzare l’intera regione del Corno d’Africa.
I razzi lanciati contro l’Eritea sono solo l’ultimo e più preoccupante segnale che lo scontro interno tra governo centrale e autorità del Tigrè possa coinvolgere i Paesi vicini.
La paura che il conflitto si ampli ulteriormente è altissima. Le ripercussioni internazionali preoccupano quanto l’inevitabile bagno di sangue.
Gli scontri rischiano di minare le relazioni con l’Eritrea, dopo lo storica normalizzazione dei rapporti nonostante il premier Ahmed non abbia alcuna responsabilità nell’azione tigrina contro Asmara.
La stabilità tra i due paesi è importante per tutta l’area e senza un allentamento delle tensioni e una pacifica risoluzione delle controversie il già precario equilibrio nel Corno d’Africa rischia di saltare.

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