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Egitto, la battaglia di Alaa: in sciopero della fame per legalità, giustizia, dignità

Uno sciopero della fame senza interruzione e a tempo indeterminato. È una di quelle scelte dure, e che possono essere senza appello. Si fanno quando la speranza di ottenere qualcosa con altri mezzi, meno duri, non c’è più. Solo così, partendo da questo presupposto, si può comprendere la determinazione di Alaa Abd-el Fattah, informatico, intellettuale, scrittore, dissidente egiziano. Alaa, la figura suo malgrado più iconica e nota della rivoluzione egiziana di piazza Tahrir.
In carcere dal novembre del 2013, con una interruzione di appena sei mesi di libertà vigilata nel 2019, Alaa Abd-elFattah è in sciopero della fame dal 2 aprile. E cioè da oltre due mesi, da oltre sessanta giorni. Ne aveva già affrontato uno, di sciopero della fame, per ottenere il permesso delle autorità carcerarie di andare sulla tomba del padre, morto senza il conforto di avere il figlio vicino. Questo, di digiuno, ha a che fare non solo con le condizioni insopportabili della sua detenzione. Condizioni che negli ultimi due anni e mezzo lo hanno visto dentro una cella senza l’ora d’aria, senza un orologio, una radio, un libro, una rivista, carta e penna. Nulla, nel tentativo di annichilire la sua intelligenza, considerata – quella sì – un pericolo per il regime di Abdelfattah al-Sisi. Tanto che, assieme alle privazioni, Alaa Abd-el Fattah ha dovuto subire, in carcere, continue vessazioni da parte delle autorità. Psicologiche e fisiche.
Non c’è solo una battaglia indifesa come il digiuno -fortissima nella sua debolezza – per opporsi alle condizioni insopportabili in carcere. C’è una richiesta di legalità, di Stato di diritto, di giustizia, che fanno di @alaa (questo il suo nome di chi lo segue da oltre 15 anni sui social) il figlio di suo padre Ahmed Seif al-Islam, il fondatore dell’avvocatura per i diritti umani in Egitto.
Alla richiesta di legalità, giustizia, dignità, il regime egiziano non ha dato risposte. Non ha saputo, sinora, dare risposte. Ha semmai opposto uno strenuo silenzio. Anche nei confronti delle autorità consolari britanniche, visto che ad Alaa è stata, da poco, riconosciuta la cittadinanza britannica. Se non si possono difendere i suoi diritti come cittadino egiziano, chissà che non si abbia qualche chance in più con un passaporto più forte, nella scala globale dei passaporti. Per il Cairo, però, sembra che anche questo conti poco. Forse per quello che i paesi occidentali, quelli europei e Regno Unito compresi, non hanno saputo fare nei confronti dell’Egitto per difendere i propri cittadini. In Italia ne sappiamo, ahimè, qualcosa. Ne sappiamo molto.
Che fare? Come aiutare Alaa? Nel mondo si susseguono, si alternano appelli, pressioni, campagne stampa, interventi di attivisti e scrittori. In Italia si è scelta una strada che fa parte della nostra tradizione politica: il digiuno. Un digiuno solidale a staffetta per Alaa, in cui chi partecipa si astiene dal cibo per 24 ore, per poi passare il testimone ad altri. È un gesto di cura, una fiammella accesa, un gesto che può apparire inutile e debole. Eppure, come ci dice implicitamente Alaa con i suoi due mesi di sciopero della fame, alla deprivazione dei diritti si può reagire mostrando al mondo, fuori dal carcere, cosa significa essere soli e, appunto, senza diritti. Come scrive nei suoi ‘quaderni dal carcere’, pubblicati nell’ottobre 2021 in italiano (“Non siete stati ancora sconfitti”, hopefulmonstereditore, traduzione di Monica Ruocco) il detenuto non ha più nulla, neanche il controllo del proprio corpo, alla mercé degli altri, dei secondini. Lo sciopero della fame diviene, nella follia di un sistema carcerario come quello egiziano, dove i detenuti non sono più considerati esseri umani, lo strumento ultimo per decidere di sé, e spingere perché il proprio destino sia diverso. Sia la riacquisizione della dignità di essere umano.
Per partecipare al digiuno solidale a staffetta, inviare una email a info@invisiblearabs.com.

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