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Djibouti. Soldati dell'esercito marciano durante una parata. Photo Credit: Jose Cendon/AFP

Djibouti, ribelli attaccano una base militare: sette morti. Corno d’Africa sempre più instabile

Djibouti. Sette militari dell’esercito gibutiano hanno perso la vita a seguito di un attacco da parte di un gruppo ribelle alla base di Garabtisan. Il Ministero della Difesa ha accusato il “Fronte armato per il ripristino dell’unità e della democrazia”.

Si allarga l’instabilità nel Corno d’Africa, già sconquassato dai due anni di guerra nel Tigray, dalle tensioni sudanesi e dagli attentati terroristici in Somalia.

Ieri il Ministero della difesa della Repubblica di Djibouti ha reso noto che nella giornata di sabato, la base militare di Garabtisan è stata oggetto di un attacco terroristico da parte del “Fronte Armato per il ripristino dell’unità e della democrazia” (Front for the Restoration of Unity and Democracy) noto anche come FRUD.

Djibouti. Soldati dell'esercito marciano durante una parata. Photo Credit: Jose Cendon/AFP
Djibouti. Soldati dell’esercito marciano durante una parata. Photo Credit: Jose Cendon/AFP

Il bilancio dell’attacco è di sette morti, quattro feriti e sei dispersi.

“Questa banda è ben nota per i suoi atti odiosi e criminali di terrore e saccheggio in aree remote del paese”, ha specificato il Ministero, aggiungendo che la risposta dell’esercito non si è fatta attendere sia nel perseguimento degli assalitori che nella ricerca dei soldati dispersi.

Djibouti. La nota del Ministero della Difesa sull'attacco alla base militare
Djibouti. La nota del Ministero della Difesa sull’attacco alla base militare

Ismaïl Omar Guelleh, Presidente della Repubblica di Djibouti, da parte sua ha promesso che “tutti questi malfattori saranno perseguiti, arrestati e assicurati alla giustizia”.

Djibouti, attacco ad una base militare. Il comunicato dell'IGAD
Djibouti, attacco ad una base militare. Il comunicato dell’IGAD

Dello stesso tenore le parole del segretario esecutivo dell’Autorità intergovernativa per lo sviluppo (IGAD), Dr. Workneh Gebeyehu, che ha etichettato l’attacco ai soldati del reggimento di Tadjourah come “criminale e codardo” aggiungendo che che “coloro che hanno commesso questo atto criminale dovrebbero essere messi di fronte alla giustizia” definendo Djibouti “un’oasi di pace che svolge un ruolo importante nella promozione della convivenza pacifica nella regione”.

L’ala governativa del movimento ribelle ha condannato fermamente l’attacco sottolineando come tale atto sia completamente “ingiustificabile nell’attuale contesto di pluralismo politico. Un atto terroristico volto a creare un clima di guerra e ad amplificare l’instabilità nel paese“.

FRUD “Front for the Restoration of Unity and Democracy” ed “Armed FRUD”, il gruppo scissionista

E’ il 1991 e dalla fusione di tre gruppi politici tesi alla difesa dei diritti dell’etnia Afar (una delle due del paese), il Movimento Azione per la revisione dell’ordine a Gibuti, il Fronte per la restaurazione del diritto e dell’uguaglianza e il Fronte di resistenza patriottica di Gibuti, nasce il FRUD, il Fronte per la restaurazione dell’unità e della democrazia.

Durante lo stesso anno, il fronte avvia una campagna di ribellione contro il governo dominato dall’etnia somala “Issa”.

Il conflitto, durato fino al 1994 ha lasciato sul campo oltre un migliaio di vittime, e determinato la scissione di una fazione del movimento, che andrà a creare nei mesi successivi ciò che viene chiamato “Armed FRUD” o in alternativa “FRUD Ahmed Dini faction” (l’ala moderata, guidata da Ali Mohamed Daoud, firmò un accordo di pace con il governo il 26 dicembre 1994 ad Aba’a).

La fazione ha ben presto avviato una nuova insurrezione contro il governo gibutiano, con il sostegno dell’Eritrea. Il tentativo era quello di tagliare le vie di comunicazione e le rotte di rifornimento dell’Etiopia. Quest’ultima infatti, impegnata in una guerra sanguinosissima con la vicina Eritrea, ha da sempre contato su Djibouti per avere uno sbocco sul Mar Rosso e il Golfo di Aden. Anche questa campagna, causò più di cento morti accertati.

Se dal 2001, con la firma del trattato di pace con il governo, al 2012 la situazione è rimasta sopita con l’ingresso dell’ala moderata del Fronte nelle fila governative dell’UMP (The Union for the Presidential Majority, la colazione governativa al potere della Repubblica) nel 2014 tornano le violenze.

In un crescendo di violenza ed attacchi alle strutture governative, si arriva ai giorni d’oggi, con il riaccendersi degli scontri.

L’attività eritrea nella regione

Secondo alcuni analisti, l’Eritrea avrebbe addestrato oltre 17000 combattenti Afar, anche nei campi presenti nella Regione Afar in Etiopia. Molti di questi uomini, sono stati poi utilizzati nella guerra in corso -da ormai due anni- contro le truppe tigrine del TDF.

La regione Afar, Etiopia
La regione Afar, Etiopia

Ciò consentirebbe al Presidente eritreo Isaias Afwerki, di avere una via alternativa di accesso al Tigray e di rifornimento per le proprie truppe nonché di poter contare su una regione strategica, confinante ad est con Djibouti e ad ovest con il Tigray, senza contare che porterebbe gli eritrei ad avere il controllo di ogni via di comunicazione verso l’unico sbocco al mare esistente per l’Etiopia.

Un ufficiale del Gibuti durante l'addestramento militare a Gibuti, 30 gennaio 2021. DAPHNE BENOIT / AFP
Djibouti. Un ufficiale durante un’esercitazione militare, 30 gennaio 2021. DAPHNE BENOIT / AFP

La presenza eritrea nella regione però non è qualcosa che fa dormire sonni tranquilli al governo gibutiano. Ancora oggi tra i due paesi vi è la contesa per alcuni territori in prossimità di Ras Doumeira, lungo il confine – di 90 km- tra gli stati, sebbene il conflitto tra i due, durato ben 10 anni, sia stato risolto con un accordo di normalizzazione dei rapporti tra le parti sotto la supervisione del Qatar.

L’Eritrea infatti è stata più volte accusata di attentare all’integrità del paese attraverso l’occupazione di alcune porzioni di territorio, di armare ed addestrare miliziani Afar con lo scopo di destabilizzare l’area.

Djibouti, al centro degli interessi strategici della comunità internazionale.

Non è un caso che all’indomani della ripresa dei combattimenti nel Tigray, il Presidente francese Emmanuel Macron abbia ribadito attraverso una telefonata con il Presidente gibutiano Ismaël Omar Guelleh “il suo attaccamento alla stabilità di Djibouti, in un ambito regionale indebolito dalla ripresa dei combattimenti in Etiopia”.

Il supporto francese alla Repubblica di Djibouti non è un fatto isolato, anche durante la guerra che la repubblica dovette sostenere contro la vicina Eritrea, la Francia, pur non intervenendo direttamente, offrì il proprio supporto logistico ed economico all’esercito gibutiano.

Oggi Djibouti riveste un ruolo di primo piano nel Corno d’Africa. Oltre ad essere sbocco sul mare per Etiopia e Sudan, offrendo i propri porti per i rapporti commerciali di tutti gli attori dell’area, vede presenti sul proprio suolo 9 basi militari: quella francese, la più longeva; quella italiana, l’unica base militare italiana all’estero, con 300 uomini interforze; quella Usa, la più imponente, 4000 uomini; quella spagnola e quella tedesca; quella del Giappone; quella della Repubblica Popolare Cinese e quella dell’Arabia Saudita, le ultime costruite.

Camp Lemonnier, base militare Usa, Djibouti
Camp Lemonnier, base militare Usa, Djibouti

Potrebbe essere un paese insignificante viste le alte temperature e la mancanza di acqua potabile, ma posto sullo Stretto di Bab El Mandeb, un braccio di mare largo 25 chilometri che separa la penisola arabica dal Corno d’Africa e che porta al Canale di Suez, riveste un ruolo cruciale.

Un vero concentrato di geopolitica e basi militari.

Posto di fronte lo Yemen, centrale nel Corno d’Africa, affacciato sul golfo di Aden, attraverso il quale transita un terzo del traffico marittimo mondiale, base di partenza per i droni Predator e Reaper dell’aviazione Usa utilizzati nella lotta contro al-Shabaab, avamposto per il controllo delle rotte commerciali e posto di controllo dedicato all’intera area, in chiave antipirateria e antiterrorismo.

Se l’alta militarizzazione è stata per molto tempo un grande deterrente per evitare guerre, contese con i vicini o crisi interne, l’aumento della competizione per l’egemonia sulla regione dei contendenti internazionali, ha fatto alzare la posta di una sfida potenzialmente esiziale per la tenuta della coalizione politica al potere e per la stabilità del paese.

I fatti avvenuti negli ultimi mesi potrebbero servire da riprova ai timori espressi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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