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Diamanti e povertà nella Repubblica Democratica del Congo

La notizia della uccisione dell’ambasciatore italiano in Congo e del carabiniere di scorta ha suscitato grande emozione nell’opinione pubblica italiana. E ha – come spesso succede quando accadono eventi tragici inattesi – richiamato l’attenzione sulle condizioni geo-politiche e socio-economiche del continente africano. I media hanno parlato della violenza spietata dei gruppi armati che si contendono il controllo del territorio, nella Repubblica Democratica del Congo, e delle misere condizioni di vita della popolazione che vive in estrema povertà nonostante le ingenti ricchezze del Paese. Nel Congo si trovano i più grandi giacimenti al mondo di rame, uranio, cobalto, alluminio, zinco. E coltan e oro. Minerali preziosi per le moderne economie mondiali perché essenziali per i loro processi produttivi più avanzati, in particolare nel campo dell’elettronica. E ci sono immense miniere di diamanti.

Eppure, sembra essere proprio questa ricchezza del Paese la ragione della povertà della sua popolazione. Il conflitto armato permanente che lo attanaglia dimostra solo che il disallineamento fra le due estremità è diventato eccessivo, raggiungendo il fatale punto di frattura in cui le sue schegge collassano in un disordine incontrollato. Che nel contesto umano si trasforma quasi sempre nel fragore delle armi, accompagnato da una scia di morte il cui silenzio tacitante è l’unica maniera che ne fa cessare l’assurdo rumore, sostituendovi il niente che resta.

Non sono i minerali del sottosuolo i beni materiali essenziali della cui fruizione la popolazione del Congo ha bisogno nella vita quotidiana. Né lo sono i diamanti, bene di lusso per eccellenza di Paesi dall’economia avanzata e che già hanno a disposizione le risorse necessarie ad assicurare un sufficiente tenore di vita ai loro abitanti.
Altrove, si trovano gli insediamenti produttivi per i quali questi beni sono una risorsa indispensabile. Dalle auto elettriche ai telefonini. Il Congo è il luogo dell’approvvigionamento. Il Paese serve per lo sfruttamento intensivo delle risorse esistenti che vengono esportate per essere impiegate dove, poi, i prodotti finiti possono essere commercializzati e utilizzati nell’impiantistica e nella produzione di avanguardia a carattere tecnologico.
Né i ricavi concorrono, indirettamente, a innalzare il livello di vita degli abitanti, se il Congo ha un PIL pro capite fra i più bassi del mondo. A fronte di un accentramento di ricchezza riservata a chi tiene le leve del potere.
Mentre le attività estrattive restano in mano a compagnie straniere, la popolazione – impreparata a ricavare da questo genere di risorse del territorio il vantaggio economico che ne traggono i Paesi ai quali l’esportazione è destinata – ha poche alternative rispetto all’arruolamento nelle forze militari e para-militari, alla guerriglia o alla corruzione, per ottenere in qualche modo, dall’esistenza di risorse nel sottosuolo, un guadagno che sia maggiore della retribuzione del lavoro in miniera. Uccidere diventa un’attività come un’altra, nella continuità degli scontri armati e delle razzie di un conflitto senza tregua perché manca di altre soluzioni.

Paradossalmente, quindi, il possesso di un bene materiale, di grande valore per gli altri, finisce per essere un elemento di disagio per chi lo detiene senza poterne fare uso per sé, perché non è in grado di utilizzarne né gestirne direttamente le potenzialità. E diventa fonte di problemi tanto più drammatici quanto più il bene acquista – per molti all’esterno – il valore di un oggetto del desiderio irrinunciabile, per ottenere il quale si è disposti a qualunque compromesso politico. Senza, purtroppo, assumersi mai la responsabilità delle conseguenze. Dalla complicità con truppe militari o para-militari armate per presidiare con spietata violenza i territori di estrazione, allo sfruttamento lavorativo dei minori, invano denunciato. Dal sostegno finanziario a forze governative corrotte, all’indifferenza per la salute e la sopravvivenza di quanti abitano da sempre queste martoriate regioni africane.
Regioni dove il limitar fra la vita e la morte è una sottile linea di confine, quasi impercettibile. Basta la leggerezza di non essere, forse, saliti su una auto blindata a farlo superare, come nel caso dell’ambasciatore Attanasio che, accompagnato dal carabiniere Iacovacci, si stava recando a visitare – unica sua colpa – un Centro di aiuti Alimentari per le scuole, sostenuto dal World Food Program, nell’est della Repubblica Democratica del Congo.

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