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Decreto immigrazione, restano finanziamento a Guardia Costiera libica e multe a ong

Il nuovo decreto immigrazione, varato l’altro giorno dal Governo italiano, introduce delle profonde modifiche ai precedenti decreti Salvini. Proviamone ad analizzare brevemente solo i provvedimenti che riguardano la migrazione.

Intanto, per fortuna, ritorna al Ministero delle Infrastrutture la titolarità di determinare il divieto o la limitazione del transito di navi, fermo restando che il Mit, nei casi di ordine e sicurezza o di violazione delle norme sul traffico di migranti, dovrà prendere le proprie decisioni sentendosi con il Viminale e con il Ministero della Difesa, informando il Presidente del Consiglio.

Per quanto riguarda la protezione internazionale degli stranieri, occorre precisare che la normativa vigente stabiliva già il divieto di espulsione e respingimento nel caso in cui il rimpatrio determinasse il rischio di tortura. Il nuovo decreto ha il merito di ampliarla,  aggiungendo il rischio che lo straniero sia sottoposto a trattamenti inumani o degradanti. E ne vieta l’espulsione anche nei casi di rischio di violazione del diritto al rispetto della sua vita privata e familiare. In tali casi, si prevede il rilascio di un permesso di soggiorno per protezione speciale. Inoltre il provvedimento dà la possibilità di convertire i permessi di soggiorno rilasciati per altre ragioni in quelli per lavoro – l’unico che di fatto può creare integrazione – aggiungendo calamità, residenza elettiva, acquisto della cittadinanza o dello stato di apolide, attività sportiva, lavoro di tipo artistico, motivi religiosi e assistenza ai minori.

Sono ridotti  i termini obbligatori per il riconoscimento della cittadinanza italiana, che  non saranno più di 48 mesi, ma di 36. Occore precisare, però, che, prima dei decreti Salvini, erano di 24 mesi.

Il decreto riforma il sistema di accoglienza destinato ai richiedenti protezione internazionale e a chi ne sia già titolare, istituendo il nuovo “Sistema di accoglienza e integrazione” (Sai), che si chiamavano precedentemente SPRAR, prima che fossero smantellati dai decreti Salvini.

Per le operazioni di soccorso, il divieto non si applicherà nell’ipotesi in cui vi sia stata la comunicazione al centro di coordinamento ed allo Stato di bandiera e siano rispettate le indicazioni della competente autorità per la ricerca e il soccorso in mare. In caso di violazione del divieto, si farà riferimento alla disciplina vigente del Codice della navigazione, che prevede la reclusione fino a due anni e una multa da 10.000 a 50.000 euro. Sono pertanto eliminate le sanzioni amministrative, introdotte in precedenza, ma restano quelle penali. E soprattutto, quindi, non sono state cancellate le multe per le ONG, ma solo drasticamente diminuite

I nuovi decreti sono un grande passo in avanti rispetto ai precedenti decreti razzisti. Ma, è tutto oro quel che luccica? E’ tutto risolto con la cancellazione dei precedenti decreti? O c’è ancora qualcosa da fare sui cui vigilare?

Intanto, come chiedono molti sindaci, va riformato il Testo Unico sull’immigrazione, la Bossi-Fini, perchè è una legge vecchia, che parla una lingua che non esiste più.

Occorrono fondi per finanziare i nuovi Sai, in modo tale di metterli nelle condizioni di lavorare dignitosamente per chi ci lavora e per chi viene accolto.

Inoltre quello che non più accettabile è che non siano state ancora abolite del tutto le multe alle ONG. Salvare vite umane è un dovere morale e civile oltre che un diritto internazionale, mentre passa ancora sottilmente il pensiero che i migranti siano persone da “sorvegliare” e le ONG possibili complici di un crimine.

Ancora più grave e inaccettabile è  poi continuare a finanziare la Guardia Costiera libica, protagonista di violenze, soprusi e omicidi.

Ma soprattutto siamo ancora parecchio lontani da una vera politica migratoria, che finalmente consideri queste persone non come migranti, ma come profughi e rifugiati, che fuggono da guerre, violenze, e quindi hanno diritto all’accoglienza. Ma per fare questo l’Italia non basta, è necessario uno sforzo politico di tutta l’Unione Europea.

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