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Focus on Africa - Notizie e Analisi Africa - Darfur

Darfur, un’opportunità di pace per milioni di sfollati. Ma la crisi getta un’ombra sul futuro

Un quadro drammatico, un sistema di assistenza umanitaria  peggiorato, questo è ciò che emerge dall’anticipazione del rapporto che riassume l’anno di crisi e di conflitti in Sudan e Sud Sudan di Italians For Darfur, organizzazione no profit che dal 2006 porta avanti una campagna d’informazione sul conflitto e di sensibilizzazione sulla crisi umanitaria nella regione occidentale sudanese traccia e analizza la situazione sul terreno anche a fronte della possibile sospensione della missione congiunta Nazioni Unite – Unione africana autorizzata dal Consiglio di sicurezza nel 2008.

Da 10 anni nel giorno in cui ricorre l’anniversario dell’inizio della guerra in Darfur, il 26 febbraio, l’associazione fa il punto sul paese (senza tralasciare il Sud indipendente dal 2011) in collaborazione con gli analisti di Unamid evidenziando criticità e prospettive dell’operazione di peacekeeping che finora non ha ancora raggiunto gli obiettivi prefissati dalla risoluzione Onu che ne ha dato il via.

All’indomani del cessate il fuoco sia nella regione occidentale sudanese che in altre realtà in conflitto nel Paese abbiamo chiesto all’associazione di fare il punto sulla situazione umanitaria. 

Il 2019 è stato l’anno del ridimensionamento chiesto più volte dal presidente sudanese Omar Hassan al Bashir, costretto alle dimissioni lo scorso aprile dopo che l’esercito aveva preso il potere affiancando il movimento di proteste contro il dittatore.

Nel rapporto è riportato un dettagliato resoconto di quanto accaduto negli ultimi dieci mesi ed è in fase di completamento. Sarà chiuso solo a gennaio.

Il dato che colpisce maggiormente è il peggioramento delle condizioni di sussistenza per i 2 milioni e mezzo di profughi, alla repressione della libertà di stampa, con 15 giornalisti arrestati solo nel mese di gennaio, alla persecuzione dei cristiani, con la distruzione di oltre 20 chiese nel 2017, come censito da Open doors, organizzazione internazionale che difende la cristianità nel mondo, che posiziona il Sudan al quinto posto nella lista dei paesi più pericolosi per i cristiani nel 2018.

Non va meglio per le donne. Lo scorso anno, e i primi mesi del 2019 sono stati caratterizzati da innumerevoli violazioni dei diritti umani nei confronti della popolazione femminile, in particolare nelle aree rurali, che ha subito una vera e propria recrudescenza delle repressioni delle loro libertà.

La denuncia più grave riguarda la campagna punitiva delle forze di polizia militare in Darfur con la fustigazione arbitraria di almeno un centinaio di donne e ragazze accusate d’indossare abiti indecenti nei mercati e nelle strade pubbliche. Anche a Khartoum non sono mancati arresti e condanne nei confronti di donne “colpevoli” di aver indossato abiti non conformi alle disposizioni della legge islamica, la Sharia.

Molte donne sono state processate ai sensi dell’articolo 152 del codice penale del Sudan come nel caso dell’attivista per i diritti delle donne Winnie Omar, arrestata il 10 dicembre e condannata a 50 frustate. Solo grazie alla mobilitazione per il suo caso alla fine le autorità giudiziarie hanno deciso di scarcerarla e commutare la pena in una multa.

La pace in Darfur è dunque ancora lontana. Nonostante nel mondo non manchino nuovi e continui fronti di crisi, quella in atto nella regione sudanese resta la più vasta e longeva con oltre 300.000 vittime e circa 2 milioni e mezzo di sfollati. Nel 2017, seppure non ci siano state operazioni militari ufficiali delle forze del Governo del Sudan contro i gruppi armati del Darfur, gli scontri non sono mancati e hanno coinvolto le Rapid Support Forces, milizie filogovernative impegnate ufficialmente per contrastare un possibile aumento del flusso di migranti irregolari ma di fatto utilizzate per contrastare la ribellione ancora molto attiva in gran parte della regione. E Il fronte del contrasto agli oppositori di Bashir si sta ulteriormente ampliando. Le notizie si fanno di giorno in giorno più preoccupanti. Da alcuni mesi, scrive il Sudan Vision, sono infatti entrate in azione le Popular Defence Force, fronte militare del National Congress Party.

Sotto il profilo umanitario la situazione appare incancrenita. Nonostante gli sforzi per sollecitare l’autonomia delle persone colpite dalla crisi siano diventati sempre più centrali nell’azione della missione Unamid, non si registrano miglioramenti.

Nel 2018, secondo Ocha, 4,8 milioni di persone hanno richiesto assistenza umanitaria, tra cui 3,1 milioni nel Darfur. Oltre 3 milioni e mezzo di persone sono state aiutate sotto il profilo alimentare e hanno ricevuto sostegno per il sostentamento minimo quotidiano, mentre 2,2 milioni di bambini sotto i cinque anni sono a tutt’oggi malnutriti.

In tanti, nelle aree inaccessibili ai cooperanti non ricevono alcun aiuto. Nel distretto del Jebel Marra, dove all’inizio del 2016 sono scoppiate nuove violenze, l’accesso e l’assistenza umanitaria sono pressoché inesistenti, in particolare nelle zone controllate dall’Esercito per la Liberazione del Sudan (Sla) dove migliaia di persone sono abbandonate a loro stesse.

Ancora più grave la situazione nel Sud meridionale. L’instabilità intorno ai confini tra i due paesi aggiunge un ulteriore carico umanitario alla crisi con migliaia di sfollati in cerca di asilo e rifugio nel paese. Dopo lo scoppio del conflitto nel Sud Sudan, nel dicembre 2013, si è registrato un flusso costante di sud sudanesi. L’Alto commissariato per i rifugiati dei migranti ha stimato che tra il dicembre 2013 e l’inizio del 2017 sia arrivato in Darfur oltre mezzo milione di sud sudanesi.

Sebbene questi ultimi possano muoversi liberamente all’interno dello stato confinante e stabilirsi in qualsiasi area, la maggioranza ha chiesto asilo nei campi profughi nella regione del Nilo Bianco, altri nel Darfur Est. Appare paradossale che in uno scenario regionale di scontri interni e crisi umanitaria cronica, vi sia un flusso continuo di sfollati e migranti provenienti, oltre che dal Sudan meridionale, dalla Repubblica Centrafricana, dal Ciad, dall’Eritrea, dall’Etiopia, dalla Siria e persino dallo Yemen.
Ma il Darfur è anche questo.

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