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Dal Kenya alla Somalia, come si è arrivati alla soluzione di un rapimento anomalo

Un’operazione congiunta, che ha visto lavorare insieme tre diverse intelligence: italiana, somala e turca, quella che ieri notte ha portato alla liberazione di Silvia Romano, cooperante milanese rapita in Kenya il 20 novembre del 2018. La giovane è in Somalia, nell’ambasciata italiana a Mogadiscio, dopo essere stata per alcune ore in un compound militare internazionale a 30 chilometri dalla capitale somala.

La svolta 20 giorni fa, quando i nostri 007 hanno avuto la conferma che era viva. Sarebbe stato avviato da quel momento un negoziato segreto condotto dall’intelligence italiana con mediatori locali in contatto con il gruppo islamista Al Shabaab.

La banda di 8 criminali che l’avevano sequestrata l’hanno venduta ai terroristi somali poche settimane dopo il rapimento.
Tre dei sequestratori – Moses Luwali Chembe, Abdalla Gababa Wario e Ibraihm Adam Omar – sono stati arrestati e sono tutt’ora sotto processo, anche se le udienze sono state interrotte a causa dell’epidemia di coronavirus che sta colpendo anche il Kenya.
Uno dei tre, Adam Omar, in libertà su cauzione e considerato l’uomo più pericoloso dei tre, è latitate, ha fatto perdere le sue tracce. Da allora, dal giorno dell’arresto dei tre uomini, il 26 dicembre 2018, non si era saputo più nulla.
Sulla vicenda si sono susseguite numerose ipotesi. Tante congetture che non hanno avuto nessun riscontro reale. Fino al 30 settembre del 2019 quando fonti di intelligence italiane avevano assicurato che Silvia era viva e si stava lavorando per riportarla a casa. Il 18 novembre dello stesso anno la conferma che la cooperante si trovava in Somalia. Poi non si era saputo più nulla, fino ad oggi con la notizia della liberazione, la più bella.

La comunità di Chakama, il villaggio dove Silvia era arrivata pochi mesi prima del rapimento per seguire un progetto di sostegno all’infanzia con i bambini di un orfanotrofio ha accolto con grande gioia la notizia della sua liberazione. Come hanno gioito le ong che continuano a svolgere volontariato o a sviluppare progetti di cooperazione in Africa. Da queste realtà arriva chiaro un messaggio: nonostante il rapimento  di Silvia le richieste per partecipare a quest progetti non sono mai diminuite, anzi sono cresciute.
Ciò dimostra che le polemiche e l’ondata di discredito sul mondo dei cooperanti gettata da una certa parte politica non ha avuto effetto sulla voglia di tanti giovani di dare il loro contributo.

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