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Crisi tra RDCongo e Rwanda: in arrivo una forza militare regionale di interposizione

Dopo l’incontro a Luanda del 6 luglio tra RDC e Rwanda, nei giorni scorsi – il 20 e il 21 luglio – due delegazioni di Kinshasa e Kigali si sono nuovamente incontrate nella capitale angolana per avviare il processo di de-escalation secondo l’accordo che era stato siglato da Tshisekedi e Kagame. Dopo mesi di tensione al confine tra la Repubblica Democratica del Congo e il Rwanda, soprattutto nella provincia del Nord Kivu, adesso la cessazione delle ostilità sembra più vicina, perché anche il Rwanda si è espresso per il ritiro immediato del gruppo ribelle M23, il più temuto tra le decine di milizie guerrigliere che si contendono il territorio congolese dell’est. Inoltre, entrambe le parti hanno chiesto il dispiegamento della forza militare regionale decisa dal processo di Nairobi, ma su richiesta di Kinshasa non vi faranno parte le truppe rwandesi. In una conferenza stampa successiva a Kinshasa, il ministro degli esteri congolese, Christophe Lutundula, ha fornito qualche informazione in più, sebbene siano ancora piuttosto scarse, su questa forza internazionale, che sarà finanziata da ciascun Paese coinvolto e, in parte, dal Fondo speciale che la Comunità degli Stati dell’Africa orientale ha istituito per la gestione di questa crisi. Si parla anche di finanziamenti provenienti dal Fondo per la pace dell’Unione Africana e di altre risorse dell’Unione Europea, ma sul piano operativo non si conoscono ancora la durata e il costo complessivo dell’operazione.

Sul campo, la situazione è così complessa che la forza militare regionale non avrà solo il ruolo di combattere l’M23, ma tutti i gruppi ribelli refrattari al processo di pace, dunque anche le milizie FDLR, composte da dissidenti rwandesi anti-Kagame considerate anche dalla RDC come dei genocidari e un pericolo per la sua sicurezza.

Un ulteriore elemento dell’intesa riguarda l’impegno ad aggiornare l’accordo che il Rwanda e la Repubblica Democratica del Congo avevano firmato con l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati a Kigali nel 2010, che riguardava il rimpatrio reciproco dei rifugiati originari dei due Paesi. Stante le precarie condizioni di sicurezza delle province orientali congolesi, in realtà in questi anni nessun rifugiato è mai stato rimpatriato dal Rwanda verso la RDC, ma più spesso queste persone sono state trasferite in Paesi terzi. Va anche evidenziato, tuttavia, che nel frattempo il governo rwandese ha provveduto all’emissione di circa 11.000 carte d’identità individuali per i rifugiati.

I membri delle due delegazioni hanno espresso soddisfazione e fiducia nel processo di pace: il ministro congolese Lutundula ha accolto con favore lo spirito di apertura dell’incontro di Luanda, così come Vincent Biruta, capo della diplomazia ruandese, ha osservato che questo summit costituisce “un nuovo passo nella giusta direzione”.

Perché tutto questo funzioni come previsto, l’Angola ha previsto un meccanismo ad hoc per la verifica delle accuse di aggressione e violazione dei territori e Kinshasa e Kigali hanno garantito che faranno la loro parte perché anche questa parte dell’accordo si realizzi.

Le tensioni tra RDC e Rwanda non sono uno screzio tra confinanti, ma un preoccupante insieme di scintille che, come già accaduto più volte negli ultimi tre decenni, possono rapidamente divampare in una drammatica guerra di ampie proporzioni. Osservano il processo di dialogo molte realtà della regione e del continente: oltre alla Comunità degli Stati dell’Africa orientale (EAC) e alla Conferenza internazionale sulla regione dei Grandi Laghi (ICGLR), ha chiesto di essere ascoltata anche la Comunità per lo sviluppo dell’Africa australe (SADC), come ha riferito il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa al suo omologo angolano João Lourenço. A questo proposito, nel mese di agosto, al vertice periodico della SADC, è previsto proprio un resoconto dettagliato della mediazione angolana.

L’atmosfera conciliante, tuttavia, non è condivisa da tutti. Proprio in concomitanza con il vertice di Luanda, a Kigali, durante il primo congresso dell’Unione internazionale per la conservazione della natura (IUCN) sulle aree protette in Africa, il ministro congolese del turismo, Modero Nsimba, ha invitato tutti i partecipanti a condannare il Rwanda perché – ha detto – “ha sostenuto una ribellione attiva nel Parco di Virunga”, nella parte orientale della RDC, iscritta nella Lista del Patrimonio Mondiale. In caso contrario, ha aggiunto Nsimba, “proporrò la militarizzazione delle aree protette nella RDC orientale”.

Un’altra voce critica è giunta dal dott. Denis Mukwege, il ginecologo congolese vincitore del Premio Nobel per la Pace 2018, che ha criticato la “diplomazia” del presidente Tshisekedi come fonte di “instabilità” nelle province del Nord Kivu e dell’Ituri.

Mukwege è contro il dispiegamento nel Paese di una forza regionale della Comunità dell’Africa orientale: “La diplomazia regionale del presidente Félix Tshisekedi ci sta oggettivamente guidando verso il prolungamento e il peggioramento dell’instabilità”, perché, ha aggiunto, “la sovrapposizione di tante forze militari diverse sarà difficile e inefficace, sembra la cronaca di un caos annunciato”. Va ricordato, infatti, che sul campo è già operativa da decenni la MONUSCO, l’operazione di peacekeeping dell’ONU, mentre della nuova forza regionale si hanno ancora scarse informazioni, come le regole di ingaggio, il suo mandato, gli obiettivi, la durata o le sue responsabilità politiche e legali.

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