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Algeria, drammatico giro di vite nei confronti degli attivisti politici

Nei mesi che hanno preceduto le elezioni parlamentari del 12 giugno, le autorità algerine hanno lanciato un’intensa campagna repressiva che ha portato in carcere almeno 273 attivisti, per lo più appartenenti al movimento della società civile “Hirak”, il cui “reato” è stato solo quello di aver voluto esercitare i loro diritti alla libertà di espressione e di manifestazione.

Secondo ricerche di Amnesty International, sono almeno 17 gli attivisti accusati di “terrorismo”, un’imputazione usata sempre più spesso negli ultimi tre mesi insieme a quella di “cospirazione contro lo stato”. Tra questi figurano l’avvocato Abderraouf Arslane e i difensori dei diritti umani Kaddour Chouicha (nella foto), Jamila Loukil e Said Boudour.

L’8 giugno il codice penale è stato modificato per espandere la già vaga definizione di “terrorismo”, che ora include “il tentativo di prendere il potere o di cambiare il sistema di governo attraverso metodi incostituzionali”, concetto altrettanto generico che potrebbe portare alla criminalizzazione di ogni forma di dissenso e alla messa fuorilegge di “Hirak”.

Già il 30 maggio l’Alto consiglio della magistratura, un organismo amministrativo presieduto dal presidente della repubblica, aveva licenziato il giudice Sadedin Merzoug, colpevole di aver espresso opinioni a sostegno della democrazia e di “Hirak”.

Come se non bastasse, il ministero dell’Interno ha chiesto la sospensione o lo scioglimento di due partiti politici, l’Unione per il cambiamento e il progresso e il Partito socialista dei lavoratori, e lo scioglimento di un’organizzazione giovanile della società civile.

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