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Sahel, i neri Hartani di Mauritania: maggioranza nel Paese ma invisibili

In pieno Ramadan, in Mauritania paese al 100% musulmano,pochi giorni fa, un gendarme della polizia governativa ha violentato, mettendola incinta, una bambina di etnia HartaniHaratine pensando- come sempre accade in questi casi- di farla franca.

Cosa significa esattamente appartenere a questo gruppo etnico nel paese della schiavitù, la Repubblica Islamica di Mauritania e chi nasce vittima di questo fenomeno disumano e degradante ancora nel 2020?

Chi si occupa oggi, effettivamente delle vittime di schiavitù in Mauritania?

Tante domande e tutte importanti assillano chi in questo paese c’è stato e chi ha a cuore il destino della sua popolazione aldilà del colore della pelle…

In Mauritania, da tanto ormai, ci sono diverse ONG riconosciute dal Governo che operano a tutela delle donne ma, fino ad ora, nessuna di loro è riuscita a far emergere davvero la verità nascosta al cosiddetto mondo libero che non sa che la schiavitù in diversi paesi dell’Africa sub-sahariana non è mai finita ed assilla la popolazione maggioritaria nera del paese: gli Hartani/Haratine.

La Mauritania ha abolito sulla carta solo nel 1981 la schiavitù che nella pratica viene tollerata e praticata a danno principalmente dell’etnia nero africana tenuta frammentata e al buio più totale nonostante sia la più numerosa. Fortunatamente dal 2009 c’è un uomo Hartani, Biram dah Abeid, discendente di schiavaaffrancata, che stanco della amara realtà, rischiando il tutto per tutto, ha deciso di dedicarsi totalmente alla causa creando un Movimento per la abolizione della schiavitù che andasse contro la linea del governo locale costituito dalla minoranza arabo-berbera che purtroppo spesso pratica in tutta tranquillità la schiavitù considerando delle non-persona i neri Hartani. La legge viene rispettata solo quando e se avvantaggia questa potente casta, quando e se avvantaggia, consolidandone, i loro poteri. Con il leader Biram dah Abeid si è cominciato a dire basta!

Il Movimento abolizionista della schiavitù chiamato IRA Mauritania, un acronimo in francese che sta per InitiativeRésurgeance Abolitioniste, inizia a disturbare il potere, comincia a scuotere le coscienze di chi in schiavitù è nato-a ereditandola per linea matriarcale.

Con arresti arbitrari, incarcerazioni, torture e continue vessazioni il movimento cresce nel paese e anche fuori riuscendo, finalmente,a far emergere dal nulla gli Hartani stanchi e con un’enorme sete di diritti fondamentali a loro mai concessi. Fondamentale il lavoro di sensibilizzazione in occidente del Presidente Biram e dei tanti attivisti e simpatizzanti che facendo da cassa di risonanza ai difensori della libertà in Mauritania, in qualche modo proteggendoli da lontano, hanno permesso al mondo libero di conoscere la verità ed in qualche modo di contribuire a salvare molte vite donando loro la libertà.

Il movimento IRA Mauritania, non sorprenderà, non è stato mai stato riconosciuto ed anzi resta perseguitato ed infangato di continuo con vere e proprie campagne denigratorie nei confronti dei numerosi attivisti ed attiviste oramai noti nel paese.

La linea di IRA Mauritania nei mesi a venire si concentrerà molto sui diritti delle donne ed in particolare sulle donne minorenni di etnia Hartani, dunque spesso schiave e sistematicamente oggetto di violenza fisica dei loro padroni, prive al momento di ogni tutela nazionale nonostante lo Stato mauritano sia firmatario di alcune norme mondiali a tutela dei diritti dei minori ma dovendo ancora aggiungere il Protocollo di Maputo alla carta africana inscrivendoli nel corpo giuridico del paese con una specifica legge.

La lotta per le libertà in Mauritania ha ancora tanta strada da fare ma i motori sono già caldi. E’ giunto il momento per questo paesedi ratificare l’insieme degli strumenti di diritto Internazionale vigenti a tutela delle donne e dell’infanzia cercando al meglio di monitorarne l’attuazione e verificandone il corretto uso. Qualora venisse data la possibilità, l’ala politica del movimento abolizionista si metterebbe a totale disposizione nell’ambizioso quanto necessario lavoro a servizio delle libertà fondamentali.

 

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