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Nigeria, le ragazze fuggite da Boko haram sono state dimenticate dal governo

In un nuovo rapporto intitolato “Aiutateci a ricostruire le nostre vite”. Amnesty International ha accusato le autorità della Nigeria di aver abbandonato le ragazze che erano riuscite a fuggire dai loro sequestratori di Boko haram: alcune hanno trascorso periodi di detenzione illegale in strutture militari e, in generale, ricevono scarso sostegno nel tentativo di ricostruirsi una vita, dopo aver subito matrimoni forzati, riduzione in schiavitù e violenza sessuale.
Durante gli attacchi contro la popolazione civile del nord-est della Nigeria, Boko haram ha portato a termine rapimenti di massa di bambine e bambini. Almeno otto ragazze hanno assistito all’uccisione di loro familiari da parte di Boko haram.
La maggior parte delle ragazze rapite è stata vittima di matrimonio forzato, una prassi comune per Boko haram che considera “età da matrimonio” l’adolescenza o anche il periodo precedente.
Una volta “mogli”, le ragazze sono state usate in molti modi diversi, tra i quali la servitù domestica e la schiavitù sessuale. Almeno 33 sopravvissute hanno denunciato di essere state stuprate dai loro “mariti”. HA* ha raccontato di aver “accettato” il matrimonio per salvare suo padre dalla morte. Il “marito” la picchiava e spesso la stuprava quando lo respingeva.
Ventotto ragazze hanno riferito di aver dato alla luce figli della violenza sessuale. Almeno 20 di loro erano bambine quando sono diventate madri.
Tutte le ragazze rapite hanno dovuto vivere osservando regole rigide e gravi limitazioni alla libertà di movimento. Ogni infrazione, reale o presunta, alle regole era sanzionata con punizioni fisiche eseguite in pubblico per instillare paura o, a volte, con lunghi periodi di prigionia.
Almeno 31 ragazze sono state costrette ad assistere a frustate, amputazioni e decapitazioni.
Boko haram ha usato numerose volte le ragazze anche per compiere attentati suicidi. Tra la metà del 2014 e il 2019, la maggior parte di quelle azioni è stata portata avanti da ragazze.
Circa 50 ragazze hanno raccontato ad Amnesty International di aver messo a rischio la loro vita e quella dei loro figli pur di scappare. Molte di loro hanno camminato anche per 12 ore, sopravvivendo col poco cibo o con l’acqua che riuscivano a trovare.
Trentuno ragazze hanno dichiarato di essere state detenute illegalmente in strutture militari, dal 2015 alla metà del 2023, per periodi di tempo varianti da alcuni giorni a quasi quattro anni, in quanto sospettate di essere associate a Boko haram. Molte ragazze sono state detenute insieme ai loro figli. Due hanno partorito in quelle strutture, altre hanno visto dei bambini morire.
Molte delle ragazze intervistate sono state riunite, dalle autorità governative e dai loro partner, alle famiglie e vivono in sovraffollati campi per profughi interni o nelle comunità degli stati di Borno e Adamawa. Hanno bisogno di sostegno specialistico, lo chiedono al governo ma sentono di essere state abbandonate.
Lo stigma di essere considerate “le mogli di Boko haram” resta ancora un forte ostacolo alla reintegrazione delle ragazze anche se, negli ultimi anni, la situazione è migliorata. Molte ragazze hanno raccontato che i membri delle loro comunità le insultavano, le guardavano con sospetto e mettevano in giro la voce che li avrebbero uccisi o li avrebbero infettati con malattie.
L’accesso ai servizi di salute mentale e di sostegno psicosociale è estremamente limitato in tutto il nord-est della Nigeria. Il governo ha l’obbligo di assicurare che quei servizi siano disponibili.
Amnesty International chiede al governo nigeriano, alle agenzie delle Nazioni Unite e ai governi donatori di mettere urgentemente a disposizione servizi di reintegrazione specifici per le ragazze, assicurando al contempo che altri gruppi vulnerabili non siano lasciati indietro.
Amnesty International chiede inoltre alle autorità nigeriane di assicurare che le ragazze nigeriane abbiano un’alternativa concreta al ritorno dai loro “mariti” di Boko haram e ricevano il sostegno necessario per ricostruire le loro vite.
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