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Mali, il golpe che non sorprende nessuno favorito dalla complicità internazionale

Il nuovo colpo di Stato in Mali era  quanto di più prevedibile nello scacchiere complesso che è il continente africano.
Quando il 18 agosto un apparente ‘ammutinamento’ si era trasformato in un colpo di stato militare contro Ibrahim Boubacar Keïta, l’ex presidente del Mali, era chiaro a tutti che i militari da quel momento sarebbero rimasti arroccati con determinazione al potere.
E la comunità internazionale, guidata solitamente da regole generali contro i colpi di stato, sembrava quasi aver chiuso un occhio su quanto stesse avvenendo nel Sahel.
Ogni colpo di stato suscita una reazione ad hoc da parte di grandi potenze come gli Stati Uniti e – di particolare rilevanza in Mali – la Francia. Il contrasto tra le norme retoriche e il comportamento effettivo è stato messo in evidenza dopo la conquista militare dell’Egitto del 2013, un colpo di stato da manuale che Washington ha rifiutato di trattare come tale, presumibilmente per evitare di innescare le restrizioni degli aiuti che il Foreign Assistance Act del 1961 richiedeva nel caso di un golpe. Gli americani preferirono preservare le relazioni di lunga data con l’Egitto.

A fini analitici, la reazione delle potenze occidentali e regionali ai colpi di stato può essere suddivisa in quattro grandi categorie:

Rigetto duro: i golpisti sono spinti a dimettersi immediatamente e a ripristinare il governo estromesso;

Rigetto morbido: la cacciata del governo è consentita ma non è permesso ai golpisti di restare al potere;

Accettazione morbida: viene concesso ai golpisti un periodo relativamente lungo per organizzare una transizione a un regime diverso da loro stessi; e infine l’ccettazione dura: il colpo di stato stesso è trattato come un fatto compiuto e i golpisti sono accettati come i nuovi governanti a lungo termine del paese.

In Mali, e in generale nella regione del Sahel, la risposta ai colpi di stato è stata generalmente di graduale accettazione.

Nel ventunesimo secolo nel Sahel ci sono stati cinque golpe completati, un possibile colpo di stato il cui status esatto è oggetto di dibattito (il rovesciamento di Blaise Compaoré in Burkina Faso nel 2014) e un colpo di stato che inizialmente ha avuto successo ma è stato rapidamente revocato.

In particolare, solo in quel caso di inversione di tendenza – il Burkina Faso nel 2015 – la comunità internazionale ha riservato un duro rifiuto.

In tutti gli altri casi, le potenze occidentali e regionali non hanno pressato affinché venisse ripristinato il precedente governro..

Le dinamiche sia del recente colpo di stato sia di quello dello scorso agosto sono evidenti.

I militari hanno goduto di una sempre più ampia accettazione. Prima di tutto, parlare di ripristinare IBK al potere è svanito rapidamente.

Jeune Afrique scrisse che a 24 ore dal colpo di stato, la Francia aveva chiesto ad altri governi dell’Africa occidentale di non favorire il ritorno del presidente estromesso.

La Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (ECOWAS) aveva resistito un po ‘più a lungo, ma il 22 agosto, iniziati i negoziati, la richiesta di ripristino del governo di INK si era attenuata e le discussioni si erano concentrate sulla durata della transizione.

Da subito è stato evidente che sarebbe stato un periodo lungo, non meno di tre anni: la posizione del CNSP era stata chiara.

I negoziati si basavano implicitamente sull’idea che il Mali operasse al di fuori del suo quadro costituzionale per tutta la durata della transizione. Secondo la Costituzione, le dimissioni presidenziali dovrebbero innescare la formazione di un governo ad interim guidato dal presidente dell’Assemblea nazionale, seguito da nuove elezioni entro 21-40 giorni.

Ma i militari non hanno voluto seguire le indicazioni costituzionali.

Nella maggior parte dei casi, come si è visto sopra, le potenze occidentali e persino gli attori regionali fanno pochi sforzi per ripristinare i governi detronizzati, visti come falliti o causa essi stessi dei colpi di stato attraverso il loro ‘discutibile’ operato.

Nel caso del Mali, poi, la giunta militare ha dimostrato ‘professionalità’, come hanno sottolineato numerosi analisti  e osservatori, e la mancanza di contestazioni contro di loro dall’interno delle forze armate maliane e la “conoscenza” delle norme internazionali e di come usarle, hanno favorito l’accoglimento  – seppur all’inizio riluttante – da parte della comunità internazionale.

Nel frattempo, tutti i colpi di stato del Sahel del XXI secolo si sono verificati sullo sfondo della “guerra globale al terrorismo”. Durante la Guerra Fredda, le potenze occidentali hanno dato la priorità alle tendenze ideologiche dei governanti africani rispetto alla loro autentica democrazia. In un modo più o meno simile, le potenze occidentali hanno apprezzato la stabilità e l’antiterrorismo rispetto alla democrazia e alle norme anti-golpe durante la guerra ai gruppi jihadisti.

Ad esempio, il colpo di stato della Mauritania del 2008 ha ricevuto l’accettazione che fai è stata riconosciuta da molti in parte perché Francia e Stati Uniti alla fine sono apparsi in sintonia con le ‘ragioni’ dei golpisti secondo cui il presidente estromesso non era riuscito a contenere il jihadismo.

Il CNSP aveva messo in chiaro sin da subito che non avrebbe messo in discussione né il ruolo dell’operazione francese Barkhane, né la missione di mantenimento della pace delle Nazioni Unite, né la continuazione dell’Accordo di Algeri del 2015, che i governi occidentali sembrano considerare imperfetti e frustranti, ma anche indispensabili.

I militari sembravano aver compreso le vere regole del gioco, vale a dire che il rovesciamento di un presidente eletto è visto come meno eclatante, per le potenze occidentali, che interferire con l’antiterrorismo o gli accordi di pace.

Seguendo queste regole, il CNSP ha compreso che gli sarebbe stato consentito di rimanere al potere per mesi e persino anni.

Ma ora, questo nuovo colpo di coda, cambia le carte in tavola.

Inoltre, bisogna tenere conto della reazione della società civile. La situazione attuale in Mali è molto instabile e ne hanno trovato vantaggio le organizzazioni terroristiche.

L’azione dei gruppi estremisti armati si è intensificata e hanno commesso atrocità che hanno peggiorato la crisi umanitaria.

L’unico modo per fermare l’avanzata degli johadisti e portare avanti una transizione pacifica è la condivisione del potere. È necessario un accordo tra militari e civili per fermare questo conflitto.

Solo se entrambe le parti hanno un potere equilibrato possono gestire congiuntamente il governo.

Tuttavia, questo approccio può essere attuabile esclusivamente se un attore terzo forte e credibile riesce a persuadere le due parti a riconciliarsi e prestare attenzione ai valori della sicurezza umana.

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