Ci ha lasciati Lina Ben Mhenni, simbolo della rivoluzione in Tunisia.
La blogger protagonista del movimento che aveva portato alla caduta del presidente Ben Ali, candidata al premio Nobel per la pace, è stata uccisa a soli 36 anni da un brutto male.
Figlia di Sadok Ben Mhenni, militante marxista imprigionato da Bourghiba, Lina attraverso i suoi post aveva raccontato la rivolta dei Gelsomini, che lei chiamava la “Rivoluzione della dignità”.
Ha combattuto i corrotti, i fondamentalisti del partito islamico Ennahdha, ha denunciato la tortura per mano di un regime che vessava il proprio popolo.
Lina sognava una Tunisia democratica e moderna, un luogo dove i giovani potessero sentirsi al sicuro e avere un futuro.
Un sogno che ha visto realizzato solo in parte. Ancora tanta strada resta da fare. E lei lo sapeva. Per questo non aveva lasciato la Tunisia per curarsi, meglio altrove. Il mio paese ha bisogno di me, diceva a chi le indicava un percorso di cura piu efficace.
E così non ce l’ha fatta.
Lascia in tutti coloro che l’hanno conosciuta un vuoto incolmabile.
Per chi non la conosceva non c’è lettura migliore di quella che vi proponiamo firmata da Marco Cesario. Leggete e capirete la grandezza di questa giovane grande donna
Antonella Napoli
«La scrittura è una rivoluzione che ha cambiato la storia dell’umanità. Non potrei mai immaginare la mia vita senza le lettere, senza le parole, le frasi, senza i paragrafi, senza i testi e senza i libri. La scrittura è la mia vita e la mia rivoluzione ». Le parole, pronunciate dalle voce grave e spezzata di Lina Ben Mhenni, risuonavano tra le quattro mura bianche che attorniavano con la loro luminescenza insulare i nostri corpi, adagiati su due poltroncine di vimini, e quei bicchieri sparsi alla rinfusa che luccicavano su un tavolino di ferro battuto bianco, impregnato del riflesso del mare in lontananza. L’avevo incontrata in precedenza a Torino e a Parigi. In quei giorni era sull’isola d’Ischia per ritirare il Premio Ischia Internazionale di Giornalismo. Sulle rocce di Pitecusa, pensai, la più antica colonia greca in Italia, l’isola colonizzata da Eretriesi e Calcidesi, i quali, come racconta Strabone nella sua Geografia, l’abbandonarono perché atterriti dai terremoti e dalle eruzioni di fuoco, dal mare che ribolliva minaccioso di acque calde, come quelle che s’immettono nella verde baia di Sorgeto. Ed io, quasi a trovare una corrispondenza con quella sulfurea attività dell’isola, mi trovavo di fronte una donna vulcanica, la cui scrittura aveva spezzato le vecchie catene della politica patriarcale e capovolto i rapporti di forza di tutto un paese. Lina Ben Mhenni è una donna minuta, bruna, con uno sguardo vivace. Il suo blog, A Tunsian Girl, censurato sotto il regime di Ben Ali, continua ad essere un punto di riferimento per le battaglie civili di tutta la Tunisia. «Grazie alla scrittura ho potuto esprimermi ed aiutare a rivelare i problemi che attanagliano il mio paese » mi disse mentre una lucertola di un verde chiarissimo, col suo scatto meccanico, percorreva il muro bianco del balcone per nascondersi in una pianta di gerani. In effetti, riflettendo sugli eventi che avevano sconvolto il mondo arabo, i movimenti sociali coadiuvati dalla rete emergevano come un elemento insostituibile delle grandi trasformazioni politiche vissute negli ultimi anni da paesi alla ricerca di una maggiore democrazia rappresentativa. Oltre al noto « Dégage !», diventato il simbolo della Primavera Araba in quanto slogan semplice, efficace, che era servito al popolo per dare una spallata a regimi oramai illegittimi e desueti, i social network offrivano oggi una piattaforma insostituibile per la proliferazione di un attivismo che aveva creato consensi trasversali all’interno di società già in crisi.
«Quando era impossibile esprimersi altrimenti sotto il regime dittatoriale – mi disse Lina quasi a conferma dei miei pensieri – la scrittura numerica, una rivoluzione della scrittura, mi ha permesso di presentare al pubblico le mie idee, le mie opinioni. La scrittura mi ha offerto la possibilità di dare voce a coloro che non hanno voce, a esporre i problemi sociali, economici e politici che scuotevano il mio paese». Notai il piercing di Lina sopra il sopracciglio destro. Gli occhi, castani, si muovevano poco ma descrivevano un arco immaginario attorno allo sguardo dell’interlocutore, come a carpirne il livello di attenzione e contemporaneamente sancire la pregnanza degli argomenti trattati.
«I nuovi media – mi disse – internet, i blog e i social network hanno giocato un ruolo molto importante nella trasformazione che ha avuto luogo nel mio paese e in altri paesi del mondo. Grazie a questi strumenti siamo riusciti a mobilitare i giovani e trasmettere informazioni sulla realtà dei nostri paesi. I media tradizionali erano manipolati, strumentalizzati dai governi. Attraverso queste piattaforme siamo riusciti quanto meno a controbilanciare la propaganda di regimi dittatoriali in diverse regioni del mondo».Oggi però c’era un nuovo pericolo. E mi venne in mente la Turchia ma anche altri paesi. La censura ad internet ed in generale il controllo serrato sui nuovi media e sui social network per stroncare il dissenso sul nascere. «Purtroppo i regimi autoritari – proseguì Lina – hanno compreso in fretta la forza di questi strumenti e cercano d’imbavagliare gli internauti. Abbiamo visto ciò che è successo in Turchia con Twitter, YouTube ed i social network. Per questo è necessaria una nuova forma di lotta internazionale, in rete, per opporsi a queste nuove forme di censura. Anche in Tunisia in questo momento ci sono tentativi reazionari per imporre controlli e filtri su internet. La nostra lotta però continua proprio sul terreno dei blog e dei social network attraverso campagne e in generale pressione sull’opinione pubblica nazionale ed internazionale». Una signora con un bambino piccolo passò accanto a noi e si mise ad ammirare il paesaggio da lassù. Prese il bimbo in braccio e cominciò a sussurargli qualcosa mentre guardavano il panorama. Il bimbo indicava col suo braccino qualcosa all’orizzonte. Forse una casa in riva al mare, forse una barca. La situazione in Tunisia dopo la rivoluzione era migliorata? C’era più o meno libertà? «La situazione in Tunisia – mi disse Lina – è molto complicata. Molti pensano che la rivoluzione sia stata un successo. All’inizio l’unica cosa positiva che io vedevo era per l’appunto aver acquisito una maggiore libertà per la stampa e in generale maggiore libertà d’espressione. Dopo primi mesi di entusiasmo, in cui abbiamo visto nascere nuovi media, nuovi quotidiani e nuovi canali televisivi, purtroppo ci siamo resi contro che questi nuovi media sorti dal fermento rivoluzionario non lavorano più per il bene del popolo tunisino. Prima i media erano manipolati e controllati direttamente dal regime di Ben Ali. Oggi sono gli uomini d’affari ed i politici che li strumentalizzano per scopi precisi. Oggi in quanto tunisina non mi sento rappresentata da nessun organo di informazione né vedo media in grado di presentare e trasmettere le preoccupazioni del popolo tunisino».