Il 9 maggio Teodoro Nguema Obiang Mangue, vicepresidente della Guinea Equatoriale, aveva annunciato alla televisione l’inizio di “Strade pulite”, un’operazione di polizia per contrastare le gang giovanili, in particolare “Gli otto machete”, responsabili dell’aumento della criminalità.
Tre mesi dopo, Amnesty International ha fatto un primo bilancio: col pretesto di combattere il crimine, migliaia di ragazzi sono stati arrestati, spesso a casaccio o solo perché erano in giro durante il coprifuoco. Molti sono stati torturati, uccisi o fatti sparire nel nulla.
Nelle carceri e soprattutto nelle stazioni di polizia il sovraffollamento è insopportabile. Un ragazzo di 21 anni, arrestato il 20 maggio nel quartiere di Campo-Yaunde della capitale Malabo, è morto in carcere il 6 giugno. Ufficialmente, il decesso è stato causato da difficoltà respiratorie e anoressia. Prima dell’arresto, dicono i familiari, stava benissimo.
Quando vanno in cerca di informazioni, le famiglie degli arrestati si trovano davanti a un muro di gomma. I direttori delle carceri negano che siano detenuti oppure si limitano ad affermare che “sono criminali, nessuno di loro è innocente”.
Il rapporto di Amnesty International cita anche casi di corruzione. Uno studente di Bata arrestato tre mesi fa resta in carcere, nonostante sia stata riconosciuta la sua innocenza, perché la famiglia non è in grado di versare 100.000 franchi centrafricani (circa 150 euro) per il suo rilascio.