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Etiopia, una guerra contro l’informazione e i giornalisti

Alla fine del mese scorso, il primo ministro etiope Abiy Ahmed ha finalmente ammesso il segreto peggio custodito in Africa: che i soldati della vicina Eritrea stanno combattendo a fianco dei militari etiopi nella regione del Tigray. Per correre ai ripari sabato 3 aprile il Premier etiope ha annunciato al mondo intero che era iniziato il ritiro delle truppe eritree dal Tigray.

La presenza delle truppe eritree era necessaria per aver maggior possibilità di sconfiggere le forze del Tigray People’s Liberation Front stimate a 250.000 uomini ben addestrati e armati. Una presenza ingombrante che ha costretto Abiy a negarla fino a quando la quantità di prove della loro presenza e dei loro orribili crimini di guerra hanno reso controproducente la sua politica negazionista che aveva già intaccato la credibilità di molti Ambasciatori etiopi in Europa. La diplomazia è un’arte sottile e spesso ingannevole, ma quando un diplomatico si presta a negare evidenti crimini contro l’umanità, egli perde di credibilità.

Le truppe eritree sono diventate indispensabili per la difesa del Premier, del suo partito (per ironia della sorte chiamato il Partito della Prosperità) e per la dirigenza nazionalista Amhara. I soldati eritrei stanno combattendo su tre fronti etiopi: Tigray, Oromia e ai confini con il Sudan nella guerra di confine a bassa intensità ma non dichiarata. Eppure Abiy, in estrema difficoltà, non ha esitato a incolpare le forze eritree per alcune atrocità commesse nel Tigray, al fine di esentare lui stesso e il suo esercito dall’obbligo di rispondere di crimini contro l’umanità.

Per tutta la durata della guerra, il governo di Abiy ha cercato di censurare qualsiasi copertura indipendente o critica del conflitto. Attraverso una combinazione di blocchi di Internet, intimidazioni degli operatori umanitari e dei media e restrizioni nelle libertà di movimento imposte ai giornalisti stranieri, è riuscito in gran parte a creare un blackout delle notizie.

Dall’altra parte del conflitto, il TPLF ha avuto difficoltà a diffondere la propria narrativa. La dirigenza del Tigray, dopo le prime sconfitte subite nella fase 1 dell’operazione militare (novembre dicembre 2020), ha adottato una tattica mista tra esercito regolare e guerriglia. La capacità di bloccare la terza offensiva militare lanciata dall’esercito eritreo a Pasqua, dimostra che il TPLF è in grado di ricevere i rifornimenti necessarie per continuare il conflitto, forte del totale e incondizionato sostegno della popolazione del Tigray. Da chi ricevono i rifornimenti e come sono nate varie ipotesi, al momento, in fase di verifica.

La diaspora Tigrigna è profondamente sconvolta dalle pulizie etniche in Tigray. Per attirare l’attenzione internazionale sul conflitto hanno utilizzato i social media in modo efficace. A differenza della crisi in Burundi, sui social le fake news politicamente orientate sulla guerra civile etiope sono marginali. La diaspora è anche stata intelligente da uscire dal mondo dei social media per non rischiare di rimanere impantanati nelle “proteste virtuali” di certo non dannose al potere costituito. Diverse sono state le manifestazioni e i sit-in (nel pieno rispetto delle regole sanitarie Covid19) organizzate in moltissime città americane, canadesi ed europee, compresa l’Italia.

Purtroppo la sensibilizzazione e il collegato movimento di protesta della diaspora Tigrigna mancano di un’agenzia centrale di coordinamento delle informazioni e dell’azione politiche, che rimangono affidate a singoli attivisti. Il TPLF di fatto è stato sconfitto nella guerra della propaganda. Abiy attraverso il blackout delle comunicazioni e di internet (che in molte aree del Tigray dura tutt’ora) ha reso estremamente difficile diffondere notizie, comunicati, interviste. I dirigenti del TPLF stanno molto attenti ad utilizzare la telefonia radio, online e satellitare, per non correre il rischio che la loro posizione venga individuata.

La combinazione della censura del governo, della frammentazione del TPLF e del mancato coordinamento della diaspora Tigrigna ha fatto sì che le notizie di gravi violazioni dei diritti umani e crimini di guerra siano state inizialmente diffuse lentamente. Anche adesso, la comprensione del mondo di ciò che è accaduto e sta accadendo nel Tigray è frammentaria. Giornalisti e investigatori sui diritti umani hanno portato alla luce prove evidenti che sia le truppe etiopi che quelle eritree hanno massacrato un gran numero di civili. Ma queste presunte atrocità potrebbero essere la punta dell’iceberg ei loro dettagli rimangono oscuri.

Anche nell’era degli smartphone e dei social media, il governo autoritario dell’Etiopia è riuscito a esercitare un controllo notevole sul flusso di informazioni. Di conseguenza, i due campi ed i loro sostenitori sono in disaccordo anche sui fatti più basilari del conflitto. Come è iniziato, di chi è la colpa, di quale paese sono coinvolte le truppe, la forza reale dei combattenti, le opinioni del popolo del Tigray e se sono state commesse atrocità (e se sì, da chi), sono tutte questioni di vigorosa controversia.

Un panorama di informazioni così controverso ha profonde implicazioni non solo per la comprensione della guerra da parte del mondo esterno, ma anche per individuare prospettive di risoluzione del conflitto. I media e i governi occidentali non hanno ancora superato lo shock delle atrocità commesse da un leader che loro consideravano democratico, pacifista, in grado di superare gli odi etnici e unire il Paese. Inizialmente la copertura mediatica del conflitto da parte dei media occidentali si basava unicamente sulle informazioni ufficiali fornite dal governo di Addis Ababa.

Dopo il fallimento della prima offensiva, nel dicembre 2020, gran parte dei Media occidentali ha tentato di dimenticare il conflitto riducendo gli spazi di informazione. Sono state le denunce inconfutabili dei crimini commessi esposte dalle associazioni internazionali in difesa dei diritti umani (tra esse Amnesty International e Human Watch Rights che hanno costretto i Mainstreams a ritornare a parlare del Tigray e dell’Etiopia. Nonostante ciò si nota ancora una reticenza nel parlare chiaramente della situazione nel Paese. Ci si concentra sul conflitto in Tigray, ignorando gli altri in corso, tra i quali la rivolta armata in Oromia. Questa deficienza informativa non permette l’opinione pubblica di farsi un quadro chiaro e di comprendere che il Tigray è solo la punta dell’iceberg di una guerra civile generata dalla volontà del Premier Abyi e della dirigenza Amhara di creare uno Stato Centrale Forte, abolire il federalismo e soggiogare le regioni e gli altri gruppi etnici.

Abiy ha raggiunto il suo blackout quasi totale sulla guerra civili in varie zone del paese, attraverso un mix di vecchie e nuove strategie per il controllo delle informazioni. Blocchi delle comunicazioni e internet totali o temporali, intimidazioni ai media, minacce dirette ai giornalisti etiopi che cercano di indagare sui conflitti in corso. Ai giornalisti stranieri è stato detto che avevano bisogno di permessi speciali per andare in prima linea, permessi che a molti di loro sono stati negati. Imbarazzato nel dire ai corrispondenti stranieri già nel paese che era stato loro impedito di coprire il conflitto, il governo ha ripetutamente affermato che i permessi necessari non potevano essere rilasciati perché “la Ethiopian Broadcasting Authority ha esaurito l’inchiostro”.

Quando il governo si è reso conto che i giornalisti stranieri stavano riferendo sulla situazione in Tigray intervistando i rifugiati del Tigray che avevano attraversato il confine con il Sudan, ha iniziato a tentare di impedire ai civili Tigrigni di rifugiarsi in Sudan.  Le tattiche repressive del governo etiope non solo hanno impedito i resoconti di prima mano dal Tigray, ma hanno reso impossibile ai giornalisti fuori dalla regione parlare direttamente a un numero sufficiente di persone presenti per pubblicare con fiducia ciò che stava accadendo.

Il vuoto di notizie nel Tigray ha posto le basi per una vera e propria guerra di propaganda. In un discorso al parlamento subito dopo l’inizio dei combattimenti, Abiy si paragonò ad Abraham Lincoln e la situazione nel Tigray alla guerra civile americana. Il suo governo ha tenuto manifestazioni di massa per creare sostegno alla guerra. Nel frattempo, la macchina della propaganda governativa ha diffuso storie positive sul conflitto per il pubblico nazionale e internazionale.

Il governo ha gettato fango sulla dirigenza del Tigray, in particolare sottolineando gli abusi che il TPLF ha commesso durante i suoi decenni al potere. Il TPLF ha dominato il governo centrale dell’Etiopia dal 1991 al 2018, quando Abiy è salito al potere, commettendo repressioni e violazioni dei diritti umani che il governo di Abiy sta ora utilizzando per alimentare il risentimento popolare della regione.

Nello stesso momento in cui ha cercato di demonizzare internamente il TPLF, il governo di Abiy ha cercato di minimizzare e persino nascondere la portata del conflitto sulla scena mondiale. Il 28 novembre dello scorso anno, Abiy ha dichiarato la vittoria e la fine del conflitto, i suoi troll di propaganda promuovevano hashtag come #EthiopiaPrevails e #RisingEthiopia sui social media. Il nome della regione  è stato sostituito con Regione Nord. Le carte di identità in lingua tigrigna con nuova carte di identità in Amarico, la lingua degli Amhara.

Questi sono chiari tentativi di cancellare il Tigray come Identità amministrativa, geografica, etnica e culturale, che diventano particolarmente sinistri alla luce dei recenti rapporti secondo cui il vicino governo regionale dell’Amhara ha annesso parti del Tigray e della crescente percezione che l’amministrazione regionale ad interim guidata dal Mulu Nega del Tigray sia fedele ad Abiy piuttosto che alla popolazione. Un ruolo (di burattini) che sta disintegrando la nuova dirigenza pro governo federale. La scorsa settimana il sindaco ad interim di Mekelle: Atakliti Haileselassie ha presentato le sue dimissioni. Segno evidente di un forte malessere e di contrasti all’interno della nuova amministrazione posta dal Premier etiope, considerata dalla popolazione alla stregua dei collaborazionisti francesi del Governo Vicky sotto la dominazione nazista.

In assenza di rapporti sul campo, gli organismi per i diritti umani e i giornalisti hanno dovuto cercare di ricostruire un’immagine del conflitto e delle sue atrocità correlate come un puzzle. Dopo settimane di speculazioni e accuse sui social media, Amnesty International ha concluso, sulla base di 41 resoconti di sopravvissuti e immagini satellitari, che i soldati eritrei avevano massacrato centinaia di civili disarmati nella città di Axum in quello che “potrebbe equivalere a un crimine contro l’umanità”. Allo stesso modo la BBC ha portato alla luce video e altre prove che i soldati etiopi hanno giustiziato ben 73 civili vicino alla città di Mahbere Dego, nel Tigray. Altri giornalisti, attingendo alle testimonianze di medici, hanno accumulato prove convincenti che sia i soldati etiopi che quelli eritrei usano lo stupro come arma di guerra.

Queste rivelazioni di violazioni dei diritti umani alla fine hanno costretto Abiy a riconoscere a malincuore alla fine del mese scorso che “i rapporti indicano che sono state commesse atrocità” e ad impegnarsi che tutti i soldati che hanno violentato le donne sarebbero stati ritenuti responsabili. Eppure lui continua  a negare che si siano verificati massacri di rilievo o che vi sia in atto una pulizie entica, sostenendo che sono il prodotto della “propaganda di esagerazione” del nemico: il TPLF, ovviamente. Il suo governo ha anche ignorato o smentito i rapporti secondo cui “soldati, paramilitari e ribelli” hanno ucciso più di 1.900 civili in oltre 150 massacri e che sta deliberatamente creando condizioni di carestia nella regione al fine di affamare la sua gente fino alla sottomissione. Di conseguenza, il divario di percezione tra le due parti persiste, anche se emergono ulteriori prove di atrocità condotte tutt’ora dalle truppe federali, eritree e dalle milizie paramilitari di estrema destra nazionalistica degli Amhara.

Gli sforzi di Abiy per controllare il ciclo di notizie intorno al Tigray, e la guerra di propaganda che è scoppiata di conseguenza, renderanno la crisi più difficile da risolvere in modo sostenibile. Le due parti ora hanno narrazioni diametralmente opposte del conflitto, narrazioni che precluderanno qualsiasi senso condiviso di espiazione o responsabilità per ciò che è accaduto. Questa totale disconnessione significa che uno dei fondamenti più importanti di una pace duratura – una comprensione comune del passato – sta scivolando sempre più via di giorno in giorno.

In assenza di una soluzione negoziata, Abiy ricadrà sulla repressione per gestire il conflitto nel Tigray. Seguirà un ciclo di abusi e tentativi di insabbiamento, con storie dell’orrore che appaiono occasionalmente sulla stampa. Il TPLF probabilmente non può sconfiggere militarmente il governo etiope a questo punto, ma può essere una spina nel fianco di Abiy. Berhane Gebre-Christos, uno stretto confidente del defunto primo ministro etiope Meles Zenawi che ha servito come portavoce estero del TPLF quando era al potere, ha affermato che le forze del TPLF hanno rotto la spina dorsale dell’esercito etiope, rendendo Abiy ancora più dipendente da Truppe eritree. Questa potrebbe trattarsi di un’esagerazione, ma suggerisce che il TPLF potrebbe cercare di offuscare gradualmente l’immagine di Abiy rendendolo più dipendente dalle forze eritree, una posizione che i rivali del primo ministro possono sfruttare per dipingerlo come un traditore nazionale.

Date queste circostanze, Abiy sta giocando un gioco pericoloso incolpando le truppe eritree per le violazioni dei diritti umani nel Tigray. Ciò potrebbe assolverlo dalla responsabilità, ma potrebbe anche creare una grande spaccatura con il governo eritreo, soprattutto se le truppe eritree saranno sottoposte a un’indagine internazionale per crimini contro l’umanità. In effetti, un recente annuncio della Commissione etiope per i diritti umani nominata dal governo secondo cui i suoi investigatori hanno concluso che “i soldati eritrei hanno ucciso più di 100 civili” sul territorio etiope potrebbe rivelarsi l’inizio della fine dell’asse Isaias-Abiy.

Nonostante tutto il successo che ha avuto nel controllare l’informazione in Tigray, Abiy si trova ora in una posizione sorprendentemente vulnerabile. Finché le forze eritree lo aiuteranno a mantenere il controllo militare del Tigray, Abiy sarà probabilmente in grado di mantenere il controllo politico dell’Etiopia. Ma la comparsa di tre eventualità potrebbe creare una situazione molto diversa. L’Eritrea potrebbe risentirsi dello scarica barile da parte dell’alleato, trasformandolo in nemico. Il regime di Asmara potrebbe anche decidere di ritirare gran parte delle sue truppe se il numero delle vittime aumentasse talmente da rendere impossibile occultarlo alla popolazione eritrea. In entrambi i casi l’esercito etiope si troverebbe improvvisamente sovraccarico, incapace di imporre l’ordine nel Tigray, controllare o vincere la guerriglia del OLF-OLA (Oromo Liberation Front – Oromo Liberation Army) in Oromia, reprimere i crescenti disordini in altre parti del paese, gestire una controversia di confine sempre più aspra con il vicino Sudan e affrontare la continua opposizione egiziana e sudanese alla mega diga GERD. In uno scenario del genere, il TPLF, il OLF-OLA e altri gruppi anti-Abiy in Etiopia sarebbero incoraggiati a resistere al primo ministro. E da lì sarebbe un breve passo verso una guerra civile modello Jugoslavia che minaccerebbe non solo la sopravvivenza del governo di Abiy, ma l’unità nazionale e la stabilità della regione.

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