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Erdoğan promette agli africani sviluppo comune e prosperità mentre il suo paese affonda

Dal 15 al 18 dicembre si è tenuto ad Istanbul il 3° vertice Africa-Turchia- Erano presenti I capi di stato di 16 nazioni africane, insieme a più di 102 ministri e rappresentanti dell’Unione Africana e della Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale. Tra essi: Félix Tshisekedi, attuale presidente dell’Unione Africana, Macky Sall del Senegal, Nana Akufo-Addo del Ghana, in rappresentanza di Ecowas, Paul Kagame del Ruanda, Emmerson Mnangagwa dello Zimbabwe e Muhammadu Buhari della Nigeria.

Il Presidente Recep Tayyip Erdoğan ha promesso al continente africano un futuro di prosperità grazie al supporto della Turchia.  “Questo vertice è una testimonianza del fatto che la Turchia è interessata all’Africa e l’interesse della Turchia per l’Africa non è un interesse temporaneo, è un impegno mantenuto. I nostri fratelli e sorelle africani stanno dimostrando di essere interessati a una migliore cooperazione con la Turchia”, ha dichiarato il dittatore ottomano preoccupato della crescente opposizione popolare nel suo paese.

Per contribuire alla lotta contro il Covid19 la Turchia invierà nei prossimi mesi 15 milioni di dosi di vaccino in Africa. Ha promesso di aumentare il commercio bilaterale che negli ultimi 11 mesi ha raggiunto i 30 miliardi di dollari. Erdoğan assicura che gli scambi commerciali saranno quasi raddoppiati nei prossimi anni. Sarà anche rafforzata la presenza degli investitori turchi nel continente, ricordando che le aziende turche attualmente sono impegnate in investimenti del valore di 78 miliardi di dollari e impiegano 25.000 africani, senza però soffermarsi sui miseri salari elargiti e sulle dure condizioni di lavoro imposte.

Oltre al rafforzamento del commercio e degli investimenti il Gran Visir ha promesso una marea di soldi per l’istruzione, compresa la possibilità di studiare in Turchia (attualmente 14.000 studente africani risiedono nel paese), oltre a fondi per lo sviluppo giovanile e femminile, sanità, infrastrutture e agricoltura.

Ma è sulla difesa e vendita di armamenti che Erdoğan si è soffermato con particolare gioia, visto che possiede personalmente molte azioni nell’industria bellica nazionale e i droni da combattimento che ora tutti i dittatori africani fanno a gara per comprare sono fabbricati da un’azienda della famiglia del Gran Visir. Per giustificare la promozione degli affari di famiglia, il Erdoğan si riempe la bocca di lotta contro il terrorismo e solidarietà terzomondista verso i “nostri fratelli e sorelle africani” per rafforzare la pace e la stabilità nel continente. Pura propaganda visto che la Turchia, con la vendita di droni all’Etiopia è diventata un attore di primo ordine nella guerra civile e un complice nel tentativo di eliminare tramite genocidio 7 milioni di etiopi nel Tigray e di soggiogare con ferro, sangue e terrore altri 40 milioni nella Oromia.

Il summit è stato impregnato da subdola e non veritiera promozione dell’ideologia terzomondista. Erdoğan si presenta come il paladino contro il neo colonialismo occidentale capace di emancipare l’Africa. Cita la vergogna per l’umanità che solo il 6% della popolazione africana sia attualmente vaccinata. Reclama un seggio permanente per l’Africa al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e mette in guardia sulle ingerenze occidentali negli “affari interni” delle nazioni africane, con chiaro riferimento all’Etiopia dove è impegnato in un confronto senza esclusioni di colpi con gli Stati Uniti che appoggiano le forze democratiche che tentano di liberare il paese dalla feroce dittatura del Premier Abiy Ahmed Ali totalmente soggiogato dal dittatore eritreo Isaias Afwerki.

La logora retorica terzomondista anti coloniale è usata per nascondere le vere intenzioni di Erdoğan sull’Africa che, personalmente considera solo un continente di opportunità per arricchire il suo paese e la sua famiglia. “La maggiore cooperazione economica tra la Turchia e le nazioni africane è stata guidata in parte dal desiderio della Turchia di diversificare i suoi partner commerciali. Piuttosto che limitarsi ai vicini immediati, la Turchia si è rivolta a regioni più ampie, inclusa l’Africa, per diversificare i suoi impegni strategici. A questo proposito, Ankara ha considerato i paesi africani partner alla pari nei suoi obiettivi di politica estera oltre che economici” spiega Ismail Numan Telci, vicedirettore del Centro di studi mediorientali ad Ankara, tralasciando di sottolineare che i partner del Gran Visir sono per la maggioranza dittatori terrorizzati che le proprie popolazioni li possano deporre per instaurare la democrazia e quindi interessati principalmente alle armi e all’appoggio militare della Turchia.

Il terzo summit Africa-Turchia evidenzia tutta la sudditanza della maggioranza dei leader africani, ormai privi di qualsiasi visione strategica di sviluppo indipendente e autoctono, costantemente in cerca di un padrino che sia esso americano, europeo, russo, cinese o turco. Padrini che non sono minimamente interessati allo sviluppo del continente ma al suo saccheggio. Padrini che spietatamente applicano la politica di mantenere povera l’Africa per poter imporre le loro regole e prosperare, appoggiandosi ad una classe politica corrotta e a dittatori senza un briciolo di moralità e umanità.

Entusiasti del nuovo partner e degli affari che ne deriveranno (di cui le loro popolazioni non vederanno alcun beneficio) questi governanti corrotti e dittatori, accecati dal potere e dai soldi, non riescono a comprendere che la Turchia è un partner estremamente debole, sul punto del fallimento economico dettato dal regime dittatoriale imposto da Erdoğan e dalla sua folle corsa agli armamenti. Di conseguenza non riescono a comprendere che per la Turchia l’Africa rappresenta solo una possibilità di saccheggio delle risorse naturali vitali per tentate di salvare la disastrosa situazione economica interna.

La crisi valutaria e del debito del 2018-21 ha intaccato seriamente l’economia turca portando il paese sull’orlo del collasso. La crisi è caratterizzata dal drammatico crollo del valore della lira turca, dall’elevata inflazione, dall’aumento dei costi di finanziamento e dal collegato aumento delle insolvenze sui prestiti. La lira turca è crollata fino a 15%  contro il dollaro, toccando i minimi storici per l’undicesima sessione consecutiva. Dall’inizio dell’anno ha perso il 42% del suo valore, compreso il brusco calo di oltre il 22% registrato agli inizi di dicembre.

La terribile svalutazione della moneta nazionale è accompagnata da una preoccupante inflazione che porta all’aumento esorbitante dei prezzi dei beni di primo consumo e da una insolvenza del debito pubblico e privato che porta alla contrazione della crescita economica prevista per il 2022.

L’economia turca, al di là della retorica nazionalista del Gran Visir, è basata sull’afflusso di capitali esteri per finanziare il settore privato. Le banche e le grandi imprese turche sono affogate dai debiti in valuta straniera. La svalutazione della lira turca rende più difficile e oneroso rimborsarli. Nel 2022 la Turchia deve trovare circa 200 miliardi di dollari per finanziare il suo ampio disavanzo di conto corrente  e i debiti pubblici e privati in scadenza. Questa cifra dovrebbe essere mantenuta per 5 anni conseguitivi per risanare la situazione. Lo Stato ha riserve lorde di appena 85 miliardi di dollari. A complicare la situazione è il drastico prosciugamento degli afflussi di prestiti internazionali e di investimenti causate dalla aggressiva politica estera turca nel Mediterraneo, Nord Africa e Siria.

Secondo la principale associazione imprenditoriale turca: la TUDSIAD, il Presidente Erdoğan ha perso fiducia nel capitalismo di stile occidentale dalla crisi finanziaria del 2008 e tenta di rivolgersi alle potenze emergenti: Russia e Cina senza ottenere grandi risultati. Pechino e Mosca sono restie ad aiutare la Turchia da loro considerata più un concorrente che un alleato. Russia e Turchia si sono scontrati a più riprese in Siria e Libia sostenendo fazioni locali avverse. Anche la Cina interpreta la Turchia come un concorrente sopratutto in Africa.

Gli investimenti americani sono crollati dopo l’avventura militare turca nella città siriana di Afrin nel governorato di Aleppo, sotto il controllo delle milizie curde. Nel 2018 un’operazione militare dell’esercito turco ha tolto ai curdi il controllo della città aumentando l’instabilità in Siria e il proliferare di gruppi terroristici islamici. L’invasione contro i curdi (noti alleati degli americani) ha messo a dura prova le relazioni con gli Stati Uniti (principale partner economico) che hanno considerato l’intervento militare turco come una aggressione non necessaria e nefasta. Ora è sorto un altro motivo di scontro tra i due paesi e riguarda la guerra civile in Etiopia.

Erdoğan ha scelto di appoggiare direttamente il regime fascista Amhara mentre gli Stati Uniti e parte dei Paesi membri della NATO appoggiano le forze democratiche: TPLF e Oromo Liberation Army. La Turchia ha venduto al regime di Addis Ababa droni e munizioni per un valore di 51 milioni di dollari nel solo mese di ottobre 2021. Ovviamente non ha riscosso nulla ed è stato costretto a trasformare questa ingente somma di denaro in prestito visto che il Premier Abiy Ahemed Ali ha prosciugato le casse nazionali per continuare la guerra civile e il genocidio contro il Tigray.

Anche gli afflussi di prestiti e investimenti europei sono crollati a causa dei disaccordi politi di Erdoğan con la Germania, Francia e Paesi Bassi e alle continue provocazioni rivolte contro la Grecia. Il flusso degli investimenti privati stranieri è diminuito a causa del crescente autoritarismo del Gran Visir in puro stile ottomano che aumenta la pressione fiscale sugli investitori, complica le possibilità di investimenti e non permette analisi finanziarie indipendenti in Turchia per valutare il reale rischio di investimento. Tra gennaio e maggio 2017, gli investitori di portafoglio esteri hanno finanziato 13,2 miliardi di dollari del deficit delle partite correnti della Turchia, secondo gli ultimi dati disponibili. Nello stesso periodo del 2018, gli investitori stranieri hanno colmato solo 763 milioni di dollari di un enorme deficit di 27,3 miliardi di dollari. Dal 2019 non ci sono più dati disponibili, proibiti dal Gran Visir.

Il debito estero dalla fine del 2017 è raddoppiato rispetto al 2009 fino a raggiungere i 214 miliardi di dollari. Nel 2018 il debito estero lordo della Turchia, sia pubblico che privato, ammontava a 453,2 miliardi di dollari. Nel 2019 si sono aggiunti altri 181,8 miliardi di dollari.

La situazione è prossima al collasso economico. Il piano di salvezza presentato dal Il Ministro delle Finanze turco per evitare la bancarotta non ha funzionato. Il piano triennale mirava a «regnare sull’inflazione, stimolare la crescita e ridurre il disavanzo delle partite correnti». Il piano prevedeva la riduzione della spesa pubblica di 10 miliardi di dollari e la sospensione dei progetti di infrastrutture pubbliche non ancora avviati. La fase di trasformazione del piano si concentrava sulle aree a valore aggiunto per aumentare il volume delle esportazioni del Paese e la capacità di produzione a lungo termine con l’obiettivo di creare due milioni di nuovi posti di lavoro entro il 2021.

In termini di macro economia dopo la diminuzione della crescita economica registrata nel 2019 (+2,3%) la Turchia è ritornata a beneficiare di un aumento della crescita che nel 2021 si è assestato al +9%. Ma le disuguaglianze economiche e sociali toccano i massimi dell’ultima decade, i prezzi di case e alimenti sono alle stelle e la fiducia dei consumatori è ai minimi di sempre. A rimetterci sono soprattutto i ceti più poveri, tradizionalmente vicini a Erdoğan, ma ora schiacciati da debiti in valuta estera apprezzata rispetto alla lira. I nuovi posti di lavoro non si sono visti mentre il duro periodo di austerità collegato al piano di salvezza economica ha ridotto sostanzialmente il potere di acquisto della popolazione aumentando le sacche di povertà estrema.

Il presidente turco, spiega Financial Times, sembra voler accontentare le imprese anziché il popolo, ma è una strategia che non sta pagando. La crisi economica della Turchia sta avendo effetti concreti devastanti sulla vita dei cittadini turchi, che vedono la loro quotidianità stravolta dalle difficoltà del Paese. I più critici nei confronti del presidente vedono la politica monetaria di Erdoğan come un gigantesco esperimento economico sulla pelle della popolazione.

Il Gran Visir che promette prosperità ai paesi africani non è riuscito a rendere la Turchia un paese industrializzato. I dati economici dimostrano che l’industria rappresenta solo il 5% dell’economia turca. Il settore è schiacciato dall’alto costo della materie prime e dell’energia, entrambi aumentati di oltre il 90% lo scorso novembre. Ora Erdoğan spera che la rapina delle materie prime africane possa far abbassare i costi e rilanciare il settore industriale nazionale. Una rapina già garantita dai corrotti politici africani. A titolo di esempio il Premier etiope per poter ripagare i droni e le loro munizioni ha dato via libera allo sfruttamento turco delle risorse naturali dell’Etiopia.

« Erdoğan – scrive il Financial Times nella conclusione dell’articolo – semplicemente non ha un piano di gioco. Le autorità turche hanno speso diversi miliardi di dollari per difendere la lira nelle ultime settimane e allo stesso tempo lodare le virtù di una valuta a buon mercato. Niente di tutto questo ha senso. Non c’è alcuna logica». Erdoğan ha licenziato sei alti funzionari “dissidenti” della banca centrale e tre dei suoi governatori negli ultimi due anni in quanto tutti hanno criticato la sua politica monetaria. Al loro posto a messo suoi uomini di fiducia di basso profilo, Dei semplici Yes Men.

La popolazione è ridotta all’estrema miseria sopratutto nelle aree rurali, dove risiede la base elettorale di Erdoğan. I turchi hanno subito un vertiginoso calo del loro tenore di vita a causa del crollo della moneta nazionale. I loro budget familiari sono stati distrutti così come i loro piani per il futuro. I prezzi stanno aumentando troppo velocemente mentre i salari rimangono fermi e sono erosi dall’inflazione.

Il partito del Gran Visir: Adalet ve Kalkinma Partisi – AKP (che come il Prosperity Party etiope ironicamente si traduce in Partito della Giustizia e dello Sviluppo) sta scivolando nei sondaggi d’opinione in vista delle elezioni previste a metà del 2023. Il malcontento popolare è crescente. La percentuale di turchi che incolpano Erdoğan e il suo governo AKP sta aumentando ogni giorno che passa. Si prevede che il Gran Visir tra poco mostri il suo vero volto attuando una feroce repressione e instaurando una dittatura (che di fatto è già messa in pratica) per evitare la sconfitta elettorale e il cambiamento democratico.

Gli investitori stranieri stanno iniziando a fuggire da quando il Gran Visir ha bruscamente licenziato il capo della Banca Centrale Naci Agbal lo scorso marzo in quanto critico sulla politica economica del Capo. Agbal è stato sostituito da un vero e proprio incompetente ma fedele al regime: Şahap Kavcıoğlu banchiere, alto dirigente del AKP e proprietario del quotidiano Yeni Safak rudimentale strumento della propaganda del regime.

Questa è la Turchia che dovrebbe portare l’Africa sul cammino della prosperità e del benessere, proteggendola da noi avvoltoi occidentali, neo colonialisti e imperialisti. A causa della sua classe politica totalmente inadeguata e anacronistica, l’Africa rischia di diventare vittima dell’ennesima potenze emergente amplificando gli effetti devastanti sulle popolazioni africane della politica predatoria della Russia e della Cina.

Oltre la cortina della retorica terzomondista e anti coloniale, l’impatto della Turchia in Africa sembra rivelarsi deleterio in quanto si basa su calcoli geo-strategici  di espansionismo militare che stanno superando le strategie di penetrazione economica e acquisizione di nuovi mercati. Un espansionismo militare farcito di diplomazia a favore dei “paesi del sud contro lo strapotere delle potenze occidentali” e di attività umanitarie per nascondere il reale obiettivo: la protezione territoriale delle risorse naturali che la Turchia intende rapinare (come le altre potenze mondiali) per l’esclusivo vantaggio del proprio sviluppo nazionale.

Recep Tayyip Erdoğan, incurante della grave crisi economica interna, sta spendendo ingenti fondi per mantenere una presenza militare diretta (con tanto di basi militari) in Somalia e Marocco. Le truppe turche partecipano alle missioni di pace delle Nazioni Unite in Mali e nella Repubblica Centrafricana con il principale obiettivo di rafforzare le sue relazioni bilaterali con questi paesi in contrapposizione alla Francia e alla Russia.  Ha stretto accordi di cooperazione militare con Ciad, Etiopia, Guinea Equatoriale. Libia, Mali, Mauritania, Niger, Nigeria, Somalia, Sud Africa, Sudan.

La punta di diamante è la vendita dei droni da combattimento modello TB2 Bayraktar, molto richiesti dopo che gli è stato attribuito il merito di aver cambiato il destino dei conflitti in Libia, nella regione separatista dell’Azerbaigian del Nagorno-Kahrabakh e ora in Etiopia. Un affare di miliardi di dollari perché il vero Core Business risiede nelle munizioni dei droni TB2 Bayraktar.

La vendita dei droni segue la stessa logica del Kalasnikow. Di per sé il veicolo a guida remota costa relativamente poco ma le munizioni hanno prezzi proibitivi e vengono consumate in fretta. I regimi dittatoriali pur di vincere la resistenza popolare armata o il nemico esterno si indebitano fino all’osso pur di comprare le munizioni che consumano in poche ore di combattimento. I TB2 Bayraktar stanno conquistando nuovi mercati: Angola, Nigeria e Togo.

Poco importa se dietro l’utilizzo dei droni turchi vi siano orrendi massacri. Quello che importa è evidenziare a gran voce il loro successo militare per poter incrementare le vendite presso i vari dittatori africani. Successi effimeri in quanto l’esperienza dei paesi che hanno già utilizzato i TB2 Bayraktar dimostrano che queste nuove armi non risolvono ma aggravano i conflitti. In Libia la tensione rimane alta e tre giorni fa i miliziani hanno circondato il palazzo del Primo Ministro a Tripoli alzando la tensione a causa dei crescenti diverbi tra milizie rivali in vista dell’ormai certo rinvio delle elezioni previste per il 24 dicembre. 

Il conflitto tra Azerbaigian e Armenia per il  Nagorno-Kahrabakh è ufficialmente terminato ma le tensioni di frontiera rimangono gravissime e sono ripresi gli scontri tra le truppe armene e azere lo scorso novembre, intensificandosi nelle prime due settimane di dicembre. Nella regione si rischia una guerra per procura tra Turchia che appoggia il Azerbaijan e Russia alleata dell’Armenia. Putin sta aumentando l’appoggio militare preoccupato a fermare l’espansionismo turco nel suo cortile di casa.

In Etiopia i TB2 Bayraktar hanno evitato la caduta della capitale Addis Ababa ma non hanno fermato la guerra. Le forze democratiche del TPLF, OLA e di altre 7 regioni sono intenzionate a continuare la guerra di liberazione forti del fatto che nonostante i droni turchi e l’intervento dell’esercito eritreo il regime fascista non riesce ad ottenere una vittoria definitiva. Purtroppo il genocidio in Tigray e le pulizie etniche in Oromia si stanno intensificando e l’Etiopia rischia di seguire il destino della Siria e dello Yemen.

La Turchia sta diventando sempre più un attore destabilizzante in Africa, dalla Libia all’Etiopia, dalla Somalia al Ciad. I suoi droni sono il nuovo Kalashnikov sovietico. economico e terribile.” Afferma Ahmed F. Mohamed (@AhmedGureyy) laureato in Economia ed esperto in sicurezza e geopolitica dell’Africa Orientale che vive ad Hargheisa, capitale della Repubblica della Somaliland.

La Rinascita Africana che abbiamo vissuto con tanta gioia, fiducia e speranza, tra il 2002 e il 2015 sembra definitivamente tramontata in quanto la classe dirigente africana è stata incapace di assicurare un vero benessere alla popolazione e aperture democratiche lasciando la guida dei Paesi a presidenti a vita affetti da idiozia senile o a giovani capi di Stato privi di esperienza ma assetati di soldi, sangue e potere come il Premio Nobel per la Pace Abiy Ahmed Ali.

La classe dirigente africana non ha saputo cogliere le opportunità offerte dal nuovo assetto multipolare dopo la fine della guerra fredda. Al posto di giocare sapientemente le proprie carte tra le potenze occidentali e quelle emergenti è passata da un padrone ad un altro senza possibilità di decidere autonomamente del futuro e dello sviluppo del continente, ritornando ad essere il terreno di predazione sconvolto da colpi di stato, dittature, guerre civili e genocidi.

Il vertice di Istanbul non si differenzia dagli altri vertici indetti dalla Russia, Cina, Regno Unito, Francia, Stati Uniti. Assistiamo regolarmente a questi vertici pieni di promesse e di lusinghe ma il risultato è sempre identico. Ogni vertice viene svolto nell’interesse esclusivo del paese ospitante. É una vergogna per il continente che i nostri capi di Stato vi partecipino entusiasti.” spiega Ahmed F. Mohamed

Mi si è agghiacciato il sangue nelle vene a vedere le foto di rito del Terzo Summit Africa-Turchia. I capi di stato e i ministri africani ripresi assieme al Presidente Recep Tayyip Erdoğan sembravano tante scimmiette ammaestrate accanto al loro nuovo padrone turco. Solo il Presidente ruandese Paul Kagame ha mostrato dignità” Questo il commento di un professore di politica estera e pan-africanista presso l’Università Makerere, Kampala, Uganda.  

 

 

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