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Elezioni, ancora non si parla d’Africa nel dibattito pubblico italiano

C’è una campagna elettorale in corso, che si concluderà a breve, intesa a ridisegnare perimetri politici nazionali e proiezioni internazionali dell’Italia. Fra i temi impellentida affrontare, quello dei migranti e dei nuovi massicci arrivi dalle coste africane, complice la bella stagione e il mare calmo, è tornato prepotentemente in primo piano. Come sempre, ormai, da anni. Con le sue tragiche conseguenze di morti e sofferenze alle quali ci ha abituato ad assistere. Da alcune parti si levano altisonanti promesse di prossimi decreti per respingimenti e svuotamento dei centri e per eliminare drasticamente il problema sul suolo italiano. Ma senza parlare d’Africa. Da altre, si osserva la situazione prendendo atto delle difficoltà che comporta e caldeggiando soluzioni temporanee per attenuarle. Ma ancora non si parla d’Africa. Che resta un tema accantonato dalla politica italiana, anche in questa fase di confronto politico sul futuro del Paese. Come se il Mediterraneo non fosse il mare che unisce due sponde limitrofe, obbligate irrimediabilmente a incrociare da sempre i propri destini lungo le vie della storia, ma unabissale distesa d’acqua oltre la quale stanno lontane terre sconosciute la cui inquietante pericolosità certiepisodi – difficili da ignorare perché allarmano o sdegnano ci costringono ogni tanto a rammentare. Nonostante la globalizzazione ci abbia abituato a unmondo allargato, dove le sorti di ognuno dipendono dai comportamenti di tutti gli altri, saper guardare oltre il cerchio ristretto dell’hic et nunc per risolvere le ricadute inevitabili di problemi di maggior spessore, liberandosi da un inveterato provincialismo, sembra essere un esercizio difficile da praticare.

La Libia è sempre più dilaniata dalle lotte fra fazioni armate e divisa in sfere egemoniche contrapposte,soggette a potenze straniere che le sfruttano a proprioesclusivo vantaggio. Dalle sue coste, gli sbarchi hanno ripreso, incessanti. La Tunisia è in fermento, attraversata da forti tensioni e gli arrivi di migranti dai porti tunisini si sono moltiplicati. Le denunce sulla situazione al collasso di Lampedusa sono quotidiane nei notiziari e da parte della stampa. sono migliori le condizioni di altri Paesi. Una situazione di estrema gravità si registra al confine fra Etiopia e Somalia ad opera di gruppi terroristici di matrice jihadista ispirati da Al Qaeda. Mentre tutta l’area subsahariana continua a mandare segnali di allarme per l’immediato e per il futuro. A cominciare dal neocolonialismo insidioso, ma dilagante,messo in atto dalle nuove grandi economie mondiali, come la Cina, la cui egemonia in questa area è in crescita. O dalla pressione militare esercitata da Russia e Turchia, con truppe mercenarie prive di scrupoli che agiscono indisturbate nelle zone di maggior interesse per i due Paesi.

La Russia, da parte sua, ha appena inaugurato quella che gli osservatori chiamano la campagna d’Africainviando il potente ministro degli esteri Lavrov in missione in Egitto, Etiopia Uganda e Repubblica del Congo a tessere una tela che aumenti il proprio peso in queste regioni nel nuovo ordine mondiale propugnato. I cui effetti si riverseranno su tutte le Nazioni del globo.

Ma ancora non si parla d’Africa nel dibattito pubblico in corso che dovrebbe, tuttavia, prefigurare l’atteggiamento del prossimo governo nei confronti di problemi che toccano direttamente – e non si tratta solo della questione migratoria – il nostro Paese e i suoi rapporti con il resto del mondo.

Eppure, la guerra in Ucraina, con la crisi del grano e i problemi d’approvvigionamento energetico causati a tutti i Paesi europei, ha dimostrato che niente accade nello scacchiere globale che non abbia ripercussioni altrove. Ma il dibattito in corso, in Italia, non alza lo sguardo oltre i casi e i fenomeni interni, conseguenze di cause alle quali si continua a non far caso al di fuori della cerchia degli specialisti sensibili a questi aspetti o di quanti, a vario titolo, dedicano ai riflessi delle vicende dellAfrica su quelle del nostro Paese lattenzionedovuta. Quando lo si fa, è solitamente per demandare all’Europa l’onere di affrontare la questione e di riflettere sui rimedi.

Non tenere in considerazione le ripercussioni di vario genere – in subordine a ciò che nel Continente africano dirimpetto a noi accade – è un errore di prospettiva. Che rischia, ancora una volta, di portare fuori strada nella ricerca di soluzioni. Mostrando il dito e trascurando di far vedere la luna, si continua a perpetrare un inganno nei confronti della pubblica opinione. Distraendola da prendere coscienza di quale sia il quadro del mondo in cui le azioni di ognuno si inscrivono. Con tutte le conseguenze infauste che, poi, ne possono derivare nelledecisioni comuni da prendere per affrontare gli eventidel presente e prepararsi a interagire con quelli futuri.Che ragionevolmente è il compito di un buon governo.

Photo ©  RASA/AROA
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