La morte di Aleksej Navalny ha riportato all’attenzione la difficile condizione di tutti coloro che si adoperano per un’informazione libera in paesi in cui battersi per la democrazia e i diritti umani vuol dire rischiare sistematicamente la propria vita.Ne parlavo proprio ieri con il professor R.F., docente all’università di Herat, che con voce spezzata mi ha raccontato dei suoi tre giorni passati in carcere solo per aver pubblicato un post velatamente ironico su uno dei social più famosi, regolarmente sottoposti al controllo dell’autorità al governo del paese. Naturalmente mi ha pregato di celare la sua identità, per non incorrere nuovamente in ritorsioni che potrebbero colpire non solo lui, ma anche la sua famiglia di origine.
Decine di giornalisti e media hanno dovuto lasciare l’Afghanistan dopo il ritorno dei Talebani nel paese, per paura della repressione. I Talebani hanno ormai il totale controllo dell’informazione e hanno messo il bavaglio soprattutto a quei giornalisti che denunciavano la mancanza di democrazia, di libertà di espressione e la continua violazione dei diritti umani più basilari.
Attualmente in Afghanistan tutti i canali di informazione come giornali, riviste, radio, televisione, social media e Internet sono sottoposti a un rigido e continuo controllo. Molti giornalisti sono stati arrestati, trattenuti arbitrariamente in detenzione e hanno subito torture, ma molti continuano a far sentire la propria voce, nonostante abbiano dovuto lasciare il paese. Il regime ha creato un ambiente a dir poco “inospitale” per tutti coloro che fanno libera informazione, con pesanti restrizioni nell’accesso all’informazione. L’autocensura da parte dei media nazionali, la proibizione di qualsiasi forma di critica contro l’autorità talebana, la totale cessazione di qualsiasi programma politico che entri in conflitto con i dettami del gruppo al potere, ma anche il divieto imposto sulla musica, sui programmi ricreativi, hanno portato alcuni media a cessare le loro attività all’interno dell’Afghanistan e a lavorare da un esilio forzato. Secondo le loro direttive del gruppo al potere, nessun giornalista interno al paese può avere contatti di alcun genere con fonti esterne, soprattutto con quei media che trasmettono dall’estero per motivi politici, a cui sono state revocate le licenze e sono stati bloccati i domini Internet, quindi non fruibili dall’interno dell’Afghanistan. La continua repressione di ogni forma di libera informazione, la totale riluttanza delle agenzie governative a fornire notizie e informazioni, la mancanza di entità di supporto per i media sono i problemi più gravi per chiunque si occupi di giornalismo e rappresentano la sfida quotidiana per i giornalisti che continuano atrasmettere dall’estero per fornire una informazione libera e veritiera. I media in esilio riferiscono l’impossibilità, all’interno del paese, di avere qualsiasi forma di critica al governo e riscontrano quotidianamente difficoltà nel riportare inchieste su tematiche riguardanti la politica, l’andamento economico, i basilari diritti umani, che vengono regolarmente censurate e nascoste dalla voce del regime. Per gli afghani l’accesso alla libera informazione è ormai un diritto negato.
Il regime perseguita i giornalisti che denunciano le mancanze del governo e il comportamento corrotto e improvvisato di coloro che stanno nei posti di potere, che strizza spesso l’occhio all’illegalità. Per questo molti giornalisti in esilio non smettono di richiamare l’attenzione sulla difficoltà crescente di accesso all’informazione, denunciando il quotidiano e sistematico aumento della repressione sui media. I giornalisti che continuano a lavorare dall’estero riferiscono di lavorare ormai “ come poliziottisotto copertura”, con severe misure di sicurezza per loro e per i loro familiari, che rischiano la vita se identificati dal regime.
Il direttore esecutivo dell’ AFJC, Afghanistan JournalistsCenter, Ahmad Qureshi, in un’intervista al quotidiano Hasth-e Subh Daily, ha affermato che i Talebani hanno verbalmente proibito qualsiasi forma di cooperazione con i media esiliati, intensificando ancora di più le restrizioni all’accesso alle informazioni. Secondo le direttive del governo, sono proibite le interviste agli oppositori politici e a chiunque voglia esprimere forme di dissenso. Il dominio internet dell’ Hasth-e Subh Daily, uno dei più importanti giornali indipendenti, è stato bloccato ed è pertanto inaccessibile e non fruibile dai cittadini afghani. Inoltre hanno emesso un ordine di arresto per i giornalisti e lo staff di 10 media, compresi tutti i collaboratori dell’ Hasth-e Subh Daily.
Kianoosh Mehrwarz (pseudonimo), che lavora per uno dei media esiliati dai Talebani, racconta che sfida difficile sia per un giornalista accedere alle informazioni e mantenere la propria sicurezza. Il giornalista, che ha scelto di usare uno pseudonimo per motivi di sicurezza, ha raccontato delle notti insonni passate a causa di continue minacce e vessazioni da parte del regime: “Sono sopraffatto dalla paura e da un enorme senso di ansia, perché è chiaro quale destino ci attende da quando ci sono i Talebani, e questo ci toglie il sonno. In più lavorare online è molto più difficile che stare sul campo. Non possiamo fare chiamate dirette, e questo rende difficile per noi verificare la veridicità dei fatti”. “La maggior parte dei media che trasmettono dall’esterno si basano sui report dei cittadini e quando questi sono troppo spaventati anche per fornire semplici informazioni, immaginate cosa possa diventare il giornalismo d’inchiesta e il controllo delle fonti! Il minimo errore e si finisce nella morsa dei Talebani.”
Mozhgan, pseudonimo scelto da una giornalista, afferma che i Talebani hanno proibito qualsiasi contatto con i media esiliati e chiunque collabori con loro è considerato “nemico che deve essere silenziato”. Aggiunge che la mancanza di qualunque tipo di sicurezza aumenta lo stress dei giornalisti, e sottolinea che le restrizioni dei Talebani, ma anche la pressione sociale, l’hanno confinata agli arresti domiciliari, senza neanche il supporto della famiglia. In genere le famiglie non offrono alcun supporto a chi intraprende questa rischiosa professione, a maggior ragione se si tratta di donne.
E’ necessario sottolineare che negli ultimi due anni nessuna voce si è levata dalle organizzazioni internazionali, che pure avevano dichiarato il loro supporto in aiuto dei giornalisti e dei media afghani, non c’è stata nessuna mobilitazione dei media per tenere alta l’attenzione su un paese che continua a essere ridotto al silenzio assoluto da uno dei regimi più repressivi. Si continua a sottovalutare l’importanza strategica dell’Afghanistan, che sembra ormai davvero dimenticato dal resto del mondo. Diamo voce a chi non ha più voce.
Fonte: Amin, Hasht-E-Subh