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Zimbabwe, un anno di presidenza Mnangagwa segnato da repressioni brutali diritti

Una vera e propria caccia alle streghe contro chiunque abbia osato criticare l’operato del suo governo.

Così Amnesty International ha descritto il primo anno di presidenza di Emmerson Mnangagwa, salito al potere il 26 agosto 2018: 12 mesi che hanno deluso tutti coloro che speravano che, con la fine dell’era Mugabe, la situazione dei diritti umani sarebbe migliorata.

Anche le condizioni socio-economiche degli zimbabweani hanno conosciuto un forte declino: il prezzo della benzina è diventato insostenibile e l’inflazione ha eroso i salari e causato l’aumento del costo di generi di prima necessità, come il pane.

In questa situazione di malcontento generale, Mnangagwa ha presieduto a un pesante giro di vite nei confronti delle libertà di espressione, manifestazione pacifica e associazione.

All’inizio dell’anno, il 14 gennaio, la polizia ha ucciso almeno 15 manifestanti. A fine aprile, il totale delle persone condannate dopo essere state arrestate nel corso delle proteste era salito a 400: 22 di loro rischiano tuttora condanne pesantissime per “sovversione”.

Sotto processo sono anche sette difensori dei diritti umani arrestati a maggio di ritorno dalle Maldive, dove avevano preso parte a un seminario sulle tattiche non violente di protesta.

Il penultimo atto repressivo risale a metà agosto, quando la polizia ha annunciato il divieto di svolgere una serie di manifestazioni indette a livello nazionale per protestare contro la crisi economica e ha arrestato 128 attivisti coinvolti nei preparativi.

Per finire questa rassegna di violazioni dei diritti umani, il 21 agosto l’attrice Samantha Kureya è stata rapita da sconosciuti di fronte alla sua abitazione, costretta a bere acqua di fogna, denudata e torturata per uno sketch comico sulle brutalità della polizia.

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