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Zimbabwe, nella produzione del mais il riscatto di giovani e donne

Il 2021 è stato un anno record per la produzione di mais in Zimbabwe, solo i raccolti del 1981 e del 1985 erano stati migliori. Stiamo parlando di 2.717.171 tonnellate secondo i dati del rapporto annuale del Ministero dell’agricoltura, superiore quindi alla domanda nazionale, che si stima alle 2.200.000 tonnellate. In Zimbabwe, paese flagellato da un’inflazione galoppante e devastato da effetti ormai macroscopici dovuti ai cambiamenti climatici (siccità e alluvioni ricorrenti che rovinano i raccolti e distruggono le risorse naturali), la situazione generale dell’economia è negativa, la disoccupazione giovanile alta e le problematiche legate all’importazione di cibo peggiorate a causa degli effetti negativi della pandemia sui mercati locali.

In questo quadro la produzione eccezionale di mais è quindi un’ottima notizia anche perché, sempre secondo il Ministero, non sarebbe solo dovuta a condizioni contingenti climatiche molto positive, ma anche alla massiccia adozione da parte di molti dei piccoli agricoltori, della “Pfumvudza”, ovvero (tradotto dalla lingua locale shona) la “Nuova stagione”, un insieme di tecniche di agricoltura conservativa basate su minime lavorazioni del suolo, pacciamatura per conservare l’umidità, tempestività (delle operazioni) e adozione di buone pratiche agronomiche. Se così fosse, questa annata non sarebbe solo un’eccezione, ma potrebbe diventare la prima di molte altre. E incoraggiare molti in questa direzione, oltre che a un impulso all’impiego in agricoltura da parte dei giovani, che in questo momento vedono il ritorno alla terra come un ripiego o un piano B: ”Sono laureato in Economia e Finanza – ci racconta Mandalay, 31 anni della provincia della zona di Ruwa/Goromonzi-. Subito dopo aver terminato l’Università ho lavorato per NMB bank ma era un contratto temporaneo che dopo un anno è scaduto. Dopo ho provato a cercare lavoro nel mio settore ma per i giovani qui è molto difficile trovare lavoro. Così ho deciso di dedicarmi all’allevamento di polli perchè non c’è bisogno di molti capitali per cominciare, infatti io ho cominciato con 100 polli.” Mandalay è uno dei giovani che COSPE, in Zimbabwe dal 2018, sostiene con un progetto del programma ZAGP cofinanziato dalla Commissione Europea e incentrato sulla sviluppo di una filiera sostenibile dei polli. Nell’ambito del progetto giovani e donne, beneficiari principali del progetto, utilizzano proprio le tecniche della “Nuova stagione” che tanto hanno migliorato la produttività del mais. Questa coltura rappresenta infatti il più importante fattore di controllo della redditività e della qualità del prodotto delle aziende avicole in quanto costituisce tra il 60% e il 70% dei costi di produzione ed è quindi il singolo più grande componente in grado di influenzare la competitività del settore della carne e delle uova. Peraltro, il pollame è stato riconosciuto come fonte economica di proteine di alta qualità e determinante in Zimbabwe per diversificare la dieta e contrastare la malnutrizione. “Ho partecipato alle formazioni di COSPE sul feed formulation – dice Pauline, oggi 41 anni, e alimento i miei polli attraverso quello che coltivo. Il progetto mi ha fornito gli input necessari e quest’anno ho messo a coltura 2,5 ettari di mais e ho raccolto 30 tonnellate. Quello che ho raccolto mi basterà per alimentare i miei polli per tutto l’anno in termini di quantità, anche se dovrò comunque avvalermi di integratori proteici. Io utilizzo le tecniche di agricoltura conservativa conosciute con il nome di Pfumvudza e sono molto soddisfatta. Grazie a queste risparmio denaro quando è il momento di preparare il terreno perché non sono costretta ad utilizzare costosi macchinari che non mi posso permettere. Inoltre grazie a queste tecniche riutilizzo il guano dei polli per fertilizzare la terra e riesco ad aumentare il contenuto di umidità del suolo in maniera naturale e quindi la resa dei miei campi è maggiore.” Si tratta di un grosso cambiamento, considerando che in Zimbabwe la maggior parte dei mangimi era ed è prodotta da mangimifici commerciali, che operano a scopo di lucro. Le 5 maggiori aziende nel settore della produzione di mangimi per pollame operano ancora a pieno regime e nel 2018 hanno prodotto da sole il 78% dei mangimi prodotti e venduti a livello nazionale.

In questo contesto anche grazie alle favorevoli condizioni climatiche e al sostegno delle politiche governative, COSPE ha coinvolto alcuni produttori di pollame, in modo da risparmiare sui costi di alimentazione del pollame, nell’utilizzare le colture coltivate in casa o in azienda (mais e piccoli grani) miscelarle a pacchetti di concentrato adatto per ottenere un mangime equilibrato, con la giusta composizione. In tale modo COSPE ed i suoi partner, hanno fornito agli agricoltori, soprattutto nelle aree rurali più remote, le attrezzature e la formazione necessarie per mettere a coltura i propri appezzamenti e realizzare i mix di mangime autoprodotti in modo da rendersi indipendenti dalle fluttuazioni del mercato.

“Ho partecipato alle formazioni organizzate dal COSPE sul feed formulation – continua Mandalay- e ho capito che produrre i mangimi in maniera indipendente invece che comprarli sul mercato mi fa risparmiare molto. Il problema per i giovani come me è avere accesso alla terra e i capitali necessari per acquistarla, ma sempre grazie al progetto e alla formazione sulla financial literacy, abbiamo creato un gruppo di agricoltori che sono stati in grado di accedere ai prestiti perché hanno fornito alla banca delle garanzie l’uno per l’altro. Grazie a questo sono stato in grado di accedere ad un piccolo finanziamento da parte di NMB bank che mi ha permesso di ingrandire il mio business e passare da 100 polli a 1,500 polli.”

Tra i vari investimenti che riguardano tanto gli aspetti energetici (tecnologie verdi) quanto quelli di stoccaggio e trasformazione (frigoriferi, attrezzature e locali per macellazione) c’è anche la strutturazione ed equipaggiamento di 5 mercati a km 0, uno dei quali è stato finanziato dalla Regione Marche a Masvingo.

“Come allevatrice ho ancora molte sfide da superare – conclude Pauline- Non appena i polli hanno raggiunto il peso giusto devono essere macellati. Io non ho un posto dove conservare i capi e quindi devo venderli ad un prezzo piò basso. Spero che la macelleria che il progetto sta costruendo sia pronta presto così potrò conservare i miei polli nel congelatore della macelleria. Infine in quanto donna non mi sento libera di gestire il mio business come voglio visto che devo sempre chiedere il permesso a mio marito.” Eppure il successo della sua impresa la porterà sempre di più all’indipendenza, così come la buona crescita del suo allevamento aiuterà Mandalay ad avere un futuro e non solo un piano b. La lunga strada per il riscatto di giovani e donne in un paese come la Zimbabwe, passa dunque anche dal mais e dal successo della sua produzione.

Credits foto Francesco Bellina

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