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#veritaperlucavittoriomustapha, domani nuova udienza del processo in Congo

A 21 mesi esatti dall’uccisione dell’ambasciatore Luca Attanasio, del carabiniere che gli faceva da scorta e dell’autista che li accompagnava, vittime di un agguato mentre viaggiavano con un convoglio del World food Programme, il processo nella Repubblica democratica del Congo si avvia alla sua conclusione. La scorsa settimana una super testimone ha confermato le accuse nei confronti degli imputati, tra cui il marito.
Il procuratore, il tenente colonnello Joseph Malikidogo, ha esposto alla Corte di La Gombe, che sta svolgendo le udienze sotto una tenda nel carcere militare di Ndolo, la testimonianza della moglie di Kiboko Bahati.
La donna accusa il marito di essere un criminale specializzato in sequestri, di aver preso parte all’agguato e di essere il braccio destro del presunto capo del gruppo armato, Marc Prince Nshimimana, colui che avrebbe sparato al nostro diplomatico e al carabiniere.
Bahati, che nella scorsa udienza aveva lanciato accuse nei confronti dell’esercito e del governo congolese, sostenendo che fossero loro i veri responsabili dell’attacco al convoglio del Wfp, continua a negare ogni imputazione.
L’avvocato dell’uomo, Joseph Azati, ha ribattuto alla pubblica accusa dichiarando che la donna mente in quanto amante del colonnello che aveva effettuato gli arresti degli accusati di aver partecipato all’agguato e che avrebbe su sua indicazione incastrato il marito e gli altri imputati, tra cui Amidu Sembinja Babu, che nell’udienza del 16 novembre ha reso dichiarazioni spontanee per contestare le accuse che gli vengono mosse.
Il giovane congolese, appena 18enne, ha balbettato in swahili la sua innocenza come gli altri compagni a processo che hanno già testimoniato davanti al tribunale militare.
Babu ha anche ritrattato la confessione in cui aveva additato  Marc Prince Shimiyimana come colui che aveva “sparato all’ambasciatore”, sostenendo che non sapeva nulla della morte del diplomatico italiano prima di essere arrestato e di aver firmato il verbale delle dichiarazioni dopo essere stato terribilmente torturato.
“Non so né leggere né scrivere, non so cosa avevano scritto, ho firmato con la mia impronta” ha concluso l’imputato con voce rotta dall’emozione.
Babu e Bahati, insieme ad altri quattro giovani, sono apparsi la prima volta davanti al tribunale militare della guarnigione Kinshasa-Gombe, nel carcere militare di Ndolo dove sono detenuti, il 12 ottobre.
Tutti sono accusati di “omicidio, associazione a delinquere, detenzione illegale di armi e munizioni da guerra” in un processo fortemente voluto dalle autorità congolesi e che vede il ministero degli Affari Esteri italiano e la famiglia costituiti come parte civile.
Durante le udienze precedenti, anche gli altri imputati, Issa Seba Nyani e Bahati Antoine Kiboko, avevano contestato tutte le accuse a loro carico, sostenendo che le confessioni iniziali erano state estorte sotto tortura.
“I nostri clienti sono innocenti, senza alcun’ombra di dubbio” ha detto in udienza uno degli avvocati, Eddy Kapepula Kanya “e non è mai stata trovata l’arma del delitto” ha aggiunto.
“Cosa vuole? L’ambasciatore non è morto di malattia, ma colpito da proiettili di arma da fuoco”, ha risposto ironico il procuratore militare.
Un ultimo imputato, Murwanashaka Mushahara André, deve ancora essere interrogato. La prossima udienza, fissata per domani, 23 novembre, sarà l’ultima prima della sentenza.
La condanna per i sei imputati dell’omicidio di Attanasio, Iacovacci e Milambo, caduti in un’imboscata vicino al Parco Nazionale di Virunga, nel Nord Kivu, provincia orientale congolese tormentata da quasi 30 anni di violenza dei gruppi armati. appare scontata nonostante non poche contraddizioni e lacune processuali.
Ed è per questo che la richiesta di #veritaperlucavittorioemustapha si rinnova e appare più necessaria che mai.

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