La guida politica della Guinea passa da una giunta militare all’altra ormai da tempo, da quando il Paese ha ottenuto l’indipendenza dalla Francia nel 1958. Nel 2021, Mamady Doumboya, capo delle forze speciali militari della Guinea ed ex ufficiale legionario francese, aveva deposto e arrestato con modalità plateali – in diretta sui canali televisivi nazionali – Alpha Condé, l’unico Presidente democraticamente eletto nel 2010, che ciononostante non aveva impedito la grave stagnazione economica in cui versa da anni un Paese che conta 13 milioni di abitanti e che riversa in Europa il maggior numero di migranti. All’epoca, la popolazione si era schierata con i golpisti, poiché stanca di Condé, giudicato troppo vecchio e incapace di amministrare il Paese. Inoltre, Condé, aveva “democraticamente” emendato la Costituzione per garantirsi un terzo mandato, ciò che aveva scatenato forti proteste represse nel sangue. E’ frequente la tentazione dei presidenti africani, una volta giunti al potere, di procrastinare i loro mandati sine die anche a costo di stravolgerele Costituzioni. Ma il malcontento popolare è proseguito anche con il governo golpista successivo, provocando massicce proteste contro i prezzi dei generi alimentari, le gravi carenze del sistema sanitario, la censura sui media e lo stesso divieto di protesta. Tutto ciò ha costretto il governo alle dimissioni. Insomma, i guineani non smettono di protestare poiché nessun governo si rivela all’altezza di soddisfare le aspettative legittime del popolo.
Il 31 luglio 2024, il Tribunale di Dixinn ha condannato otto persone per il tristemente noto massacro del 28 settembre 2009 a Conakry. Il processo, che si era aperto nel 2023, ha visto tra gli imputati i vertici della giunta militare che ha governato il Paese dal 2008 al 2010, tra cui l’ex Presidente Moussa Dadis Camara, meglio conosciuto come Dadis, che era stato anche a capo dei famigerati “berretti rossi”. Il processo contro quest’ultimostentava a concludersi sotto il mandato di Condé ed è stato caldeggiato paradossalmente proprio dalla giunta di Doumboya, a sua volta a capo dei berretti rossi, cosa che avrebbe fatto pensare ad un ulteriore suo slittamento. Doumboya ha promesso un ritorno alle urne nel 2025 per un Paese che è tra i più sottosviluppati al mondo, nonostante sia tra i maggiori produttori di bauxite.
Con questa sentenza il governo golpista ha voluto dare un segnale di discontinuità, dimostrando che in Guinea l’amministrazione della giustizia funziona in modo indipendente rispetto a possibili pressioni politiche ed in modo imparziale, non offrendo privilegi a potenti o ad alleati di potenti di turno. L’ex Presidente Dadis è stato condannato, insieme ad altri membri delle forze armate da lui dirette, a 20 anni di reclusione per crimini contro l’umanità. Agli imputati è stata riconosciuta la responsabilità per il brutale attacco alla popolazione civile, ben 50 mila persone, che si erano riunite nello stadio per protestare pacificamente contro il governo allora in carica. In quelle violenze morirono 157 persone e 109 donne furono abusate sessualmente e mutilate dai militari. Numerose sono state le testimonianze delle vittime nel corso del processo, che è stato sempre monitorato dalla Corte Penale Internazionale, che subito dopo le violenze aveva avviato un’indagine, trattandosi di fatti molto gravi integranti crimini di competenza della Corte. All’epoca, il Procuratore della CortePenale Internazionale riteneva che la giustizia in Guinea non fosse amministrata in modo affidabile e per questo era stato ritenuto applicabile il “principio di complementarità” su cui si basa il funzionamento della Corte. Secondo questo principio la Corte non può sostituirsi alle giurisdizioni nazionali finché lo Stato coinvolto si sia dimostrato “willing” e “able” nel perseguire penalmente gli imputati. La Corte, pertanto, aveva avviato un’inchiesta proprio perché riteneva che la Guinea non volesse o non potesse rendere giustizia. Un Paese può essere “unwilling” perché ad esempio vuole assicurare l’impunità ai responsabili e “unable” perché il proprio sistema giudiziario è al collasso a seguito di un conflitto o di un colpo di Stato. In questo caso, ciò che si temeva di più era che i responsabili rimassero impuniti poiché ancora molto potenti nel Paese.
Nell’inchiesta contro Dadis la Corte Penale Internazionale ha poi fatto un passo indietro, nel 2022, permettendo che il processo si svolgesse in Guinea davanti ad un tribunale nazionale, ma sempre sotto il suo sguardo attento per accertare che la giustizia fosse amministrata in modo credibile ed equo. Questo processo era stato a lungo rinviato per svariate ragioni durante la presidenza Condé, che aveva così dimostrato di non ritenere prioritario fare giustizia per i gravi crimini perpetrati sotto il governo precedente. Il governo Doumboya, attraverso questa sentenza, segna un cambio di passo rispetto ad una vicenda che ha scosso profondamente il Paese. Questa giunta militare ha di fatto favorito un processo contro i suoi stessi membri, i berretti rossi. Tocca ora vedere se quest’atteggiamento sia stato spinto da un autentico intento di rendere giustizia alle vittime e pacificare così il Paese, o se si sia trattato solo di un’operazione di facciata per conquistarsi il consenso internazionale e il favore della popolazione a finemandato. Certo, se questa condanna dovesse seguire un provvedimento di amnistia per i condannati, allora la risposta a tale quesito sarebbe implicita.