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Un atlante dei conflitti, le guerre d’Africa

In questa analisi abbiamo evidenziato qui solo alcuni conflitti africani. Ce ne sono altri e non sempre si combattono con bombe e pallottole: oppressione, assenza di libertà di parola sono armi altrettanto potenti che possono uccidere. Abusi di potere delle forze dell’ordine si sono verificati in molti Paesi anche durante il lockdown. E infine non dimentichiamo il vento di xenofobia che soffia regolarmente sui migranti interni del continente presenti in Sudafrica.

Camerun

Dopo la proclamazione del presidente Paul Biya di voler spostare gli insegnanti francofoni nelle scuole anglofone alla fine del 2016, nelle due regione anglofone del Camerun, Nord-ovest e del Sud-ovest, è in atto conflitto un tra ribelli indipendentisti e l’esercito regolare. I separatisti, che vorrebbero trasformare le due regioni in uno Stato autonomo chiamato “Ambazonia”, denunciano da anni la loro marginalizzazione da parte del governo centrale e della maggioranza francofona.

Solamente in 2 delle 10 province si parla inglese. All’inizio del ‘900 il Paese era una colonia tedesca. Dopo la prima guerra mondiale nel 1919, è stata divisa tra Francia e Gran Bretagna, secondo il mandato della Lega delle Nazioni. La parte francese, molto più ampia, aveva come capitale Yaoundé, mentre quella inglese era stata annessa alla Nigeria, si estendeva fino al Lago Ciad e aveva per capitale Lagos. Gli inglesi erano poco presenti in questa regione, la loro attenzione era concentrata sui territori dell’attuale Nigeria.

Il conflitto ha causato 3.000 vittime, 600.000 hanno lasciato le loro case e tre dei quattro milioni di cittadini delle 2 province colpite, necessitano di assistenza umanitaria.

Dal 2014 il Camerun deve affrontare anche i continui attacchi dei terroristi Boko Haram nella regione dell’Estremo Nord, al confine con la Nigeria.

Nigeria

Dal 2009, inizio dell’insurrezione dei Boko Haram, a oggi nel nord-est della Nigeria, sono morte oltre 35.000 persone e 2 milioni hanno dovuto lasciare i propri villaggi per cercare rifugio nei campi per sfollati o per profughi nei Paesi confinanti.

ISWAP (gruppo dello Stato Islamico nell’Africa Occidentale), fazione di Boko Haram, che nel 2016 ha giurato fedeltà allo stato islamico, e il gruppo originale, capeggiato dal 2009 da Abubakar Shekau, continuano a mietere terrore non solo nel nord-est del gigante dell’Africa, ma anche nei Paesi limitrofi (Camerun, Niger e Ciad).

Nel 2012 i quattro Stati hanno istituito una Task Force multinazionale congiunta per combattere i terroristi nigeriani. Dal suo insediamento nel 2015, Muhammadu Buhari, presidente della Nigeria (ora al suo secondo mandato) e ex golpista del 1983 ha proclamato guerra ai jihadisti. Intanto i raggruppamenti terroristi sono diventati due e gli attacchi alle basi militari e alla popolazione civile continuano senza sosta, anche se in forma minore rispetto all’inizio dell’insurrezione.

Anche gli scontri tra pastori semi-nomadi (fulani) e gli agricoltori sono fonte di preoccupazione nel Paese. Le scaramucce si verificano per lo più nel centro-nord del Paese. Nel passato le due comunità convivevano pacificamente; con i cambiamenti climatici, desertificazione, sviluppo e incremento delle aree coltivabili da una parte e l’aumento delle mandrie dall’altra, oggi questa “armonia” è venuta a mancare. Di conseguenza molti sono morti non solo in Nigeria, ma anche in altri Paesi del continente.

Secondo il database di Armed Conflict Location & Event Data Project (ACLED) l’undici percento delle morti di civili in Africa sono causati da conflitti con pastori.

Centrafrica

La crisi dell’ex colonia francese comincia alla fine del 2012: il presidente François Bozizé dopo essere stato minacciato dai ribelli Séléka (in maggioranza musulmani) alle porte di Bangui, chiede aiuto all’ONU e alla Francia. Nel marzo 2013 Michel Djotodia, prende il potere, diventando così il primo presidente di fede islamica del Paese. L’attuale presidente è Faustin-Archange Touadéra, eletto nel marzo 2016. Per la fine dell’anno sono previste nuove elezioni: tra i candidati per la poltrona più ambita del Paese spunta di nuovo Bozizé.

Malgrado la firma dell’ennesimo trattato di pace firmato nel 2019 gli scontri non si arrestano. La popolazione è allo stremo da anni di conflitti interni. Su una popolazione di 4,8 milioni di abitanti, oltre il 40 per cent necessita di assistenza umanitaria, molti bimbi sotto i 5 anni soffrono di malnutrizione grave. Il numero degli sfollati è sempre molto elevato altresì coloro che hanno cercato protezione nei Paesi limitrofi.

Le ricchezze del sottosuolo fanno gola a molti, specie alla Russia, che dopo aver rifornito Bangui di armi, è presente nella ex colonia francese con militari e mercenari del gruppo Wagner.

Sud Sudan

Il Sud Sudan è il più giovane Stato della terra, indipendente dal Sudan dal 9 luglio 2011. La pace viene sepellita quando presidente Salva Kiir, di etnia dinka, accusa il suo vice Riek Marchar, un nuer, di complottare contro di lui e di aver tentato un colpo di Stato. Il 15 dicembre 2013 iniziano i primi scontri tra forze governative e quelle fedeli a Machar. Dalla capitale Juba si estendono presto anche ad altre parti del Paese; vecchi rancori politici ed etnici mai risolti, alimentano questo conflitto.

Nell’estate 2018 viene firmato l’ennesimo trattato di pace, ma solo a febbraio di quest’anno è stato sciolto il vecchio governo. Kiir resta presidente e Machar viene nuovamente insediato come primo vice-presidente.

Il conflitto interno ha provocato la morte di oltre 400mila persone e milioni di sfollati e profughi. Si sono consumate violenze in ogni dove, lo stupro era una delle armi preferite. Durante la guerra civile hanno perso la vita anche 116 operatori umanitari per lo più sud sudanesi.

Secondo l’ UNHCR molte persone stanno ora ritornando nei loro luoghi di origine. Un segnale positivo: la gente ha fiducia nel nuovo trattato di pace.

Sahel

Dall’inizio degli anni 2000 diversi gruppi armati colpiscono un po’ dappertutto nelle zone del Sahel: Mauritania, Niger, il centro del Mali, il nord e l’est del Burkina Faso, Ciad… Ora si teme che le attività dei terroristi possano arrivare fino alle coste del Golfo di Guinea

Cambiamenti climatici, estrema povertà, assenza di Stato, hanno favorito la formazione di gruppi armati, alcuni legati allo stato islamico, altri a al-Qaeda e sovente impegnati in lotte fratricide per la supremazia territoriale. Diversi occidentali, sequestrati dai terroristi, sono ancora nelle mani dei loro aguzzini. Tra questi anche 2 italiani: Padre Pierluigi Maccalli e Nicola Chiacchio.

Per contrastare il terrorismo nel Sahel sono presenti 5.100 soldati francesi dell’Operazione Barkhane, oltre al contingente tutto africano, Force G5 Sahel (comprende militari nigerini, ciadiani, mauritani, maliani e burkinabè), mentre in Mali operano anche oltre 13.000 caschi blu dell’ONU della missione MINUSMA. Da luglio è attiva altresì la nuova task-force pan-europea, alla quale dovrebbe aggiungersi anche l’Italia con 200 uomini e mezzi militari.

In Mali la crescente insicurezza, la mancata applicazione del trattato di pace del 2015, la sfiducia nel governo, sono all’origine del colpo di Stato del 18 agosto scorso, che ha portato alle dimissioni del presidente Keïta in carica dal 2013. La giunta militare ora al potere è impegnata con la formazione di un governo di transizione.

RDC

Alcune zone della ex colonia belga è ancora nella morsa di gruppi armati. I programmi per il disarmo lanciati dal governo di Felix Tshisekedi fanno fatica a decollare.

Nemmeno la pandemia e l’undicesima epidemia di ebola, scoppiata il 1° giugno nella provincia dell’Equatoria (nel nord), sono riusciti a fermare i massacri. Secondo un rapporto dell’ONU negli ultimi 8 mesi hanno perso la vita almeno 1.800 civili; morti causati da atrocità commesse da un lato da raggruppamenti armati e dall’altro non vanno nemmeno sottovalutate le gravi violazioni dei diritti umani delle forze armate di Kinshasa.

La popolazione è impaurita e ha perso la fiducia nelle istituzioni del Paese; persino il premo Nobel per la Pace 2018, Denis Mukwege, è sottoposto a grande stress per le continue minacce di morte.

Mozambico

Dall’ottobre del 2017 i jihadisti mozambicani stanno seminando il terrore nella provincia di Cabo Delgado, nell’estremo Nord del Paese, dove si è scatenata una vera e propria guerra, che in questi anni ha fatto centinaia di vittime e 250mila sfollati.

La popolazione li chiama al Shabaab, ma secondo recenti studi i miliziani appartengano Al Sunnah wa-Jama (setta islamica sunnita). Si addestrano nella zona dei Grandi Laghi e si finanziano grazie al contrabbando di minerali preziosi e legno pregiato. La maggior parte dei loro attacchi sono stati caratterizzati da una ferocia assassina rara.

Inizialmente i jihadisti sono stati sottovalutati dal governo e dagli osservatori internazionali. Solo lo scorso anno hanno fatto il “salto di qualità” quando, dopo una ennesima aggressione, è apparsa per la prima vola la rivendicazione come “stato islamico”.

Ora le autorità di Maputo cercano di correre ai ripari e hanno chiesto aiuto ai 16 Stati della Comunità di Sviluppo dell’Africa Australe e alla Dyck Advisory Group, società di contractor (cioè mercenari) già presente in Mozambico da febbraio. La compagnia sta sostituendo i mercenari russi del gruppo Wagner. Il ricorso a mercenari perché si teme, che i terroristi mozambicani potrebbero espandere la loro attività in altre zone dell’Africa australe.

Tratto da Solidarietà Intermazionale

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