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Uganda, quando i ribelli del LRA minacciarono Kitgum e io vissi la mia ennesima sconfitta

Avevo sentito parlare dei ribelli del Lord’s Resistance Army (LRA) e del suo pericoloso capo, Joseph Kony, solo da qualche racconto di alcuni espatriati. In uno di questi racconti, i fedeli di Kony si erano spinti fino alle porte di un compound di espatriati italiani e, con i loro fucili sulle spalle e i machete in mano, li avevano minacciati urlando, senza però entrare nelle abitazioni.

I ribelli del LRA si opponevano da anni al regime del Presidente dell’Uganda Museveni. Avevano i loro rifugi nel sud-Sudan e ogni tanto si spingevano ai confini con la parte nord dell’Uganda. Spargevano terrore tra la popolazione locale, stupravano e rapivano le ragazze, rapivano bambini e bambine per addestrarli alla guerra. Erano feroci, ma che io sappia non si erano mai spinti fino al punto di uccidere gli espatriati. Non era nel loro interesse.

I ribelli del LRA erano arrivati da pochi giorni a Kitgum. Quando lo seppi, mi riapparvero i racconti che gli altri mi avevano fatto delle loro incursioni, ma presto capii che cosa voleva dire la loro nascosta presenza nelle foreste.

Di notte si muovevano molto velocemente, riuscendo a evitare le milizie governative o in qualche occasione a sopraffarle.

Allora abitavo in un compound con un altro collega, medico anche lui. Appena si sparse la notizia della presenza dei ribelli, i nostri capi presero la decisione di spostare tutti i membri della nostra ONG in un solo grande compound. Avevamo un custode del posto, che, al di là delle indubbie capacità di difesa contro i cobra, non avrebbe potuto nulla se i ribelli avessero deciso di farci qualche sorpresa. Ma, per fortuna, non lo decisero mai.

Gli spaziosi atri dei due più grossi ospedali di Kitgum vennero occupati di notte da famiglie con donne e bambini. Erano i più esposti alle incursioni dei ribelli e lì si sentivano più protetti, anche se, putroppo, anche lì i ribelli riuscirono a portare via di notte qualche donna, ragazzini e ragazzine.

Una notte non riuscivo a dormire bene. Nel dormiveglia, sentii un rumore in lontananza, ma molto forte. Mi alzai di scatto e così fece un altro degli ospiti del compound. Ci mantenemmo al buio e al riparo dai finestroni del nostro caseggiato. Per quanto assolutamente inesperti, identificammo il rumore come quello di un mortaio. Rumore che ci accompagnò, nel terrore di entrambi, per qualche secondo, non sapendo dove il mortaio sarebbe andato a finire la sua corsa. Poi scoppiò, molto vicino al nostro compound, sebbene il giorno dopo ci avessero informato che era scoppiato a 3 km da noi. Vi assicuro che la sensazione fu completamente diversa.

La mattina prendevo come al solito la motocicletta e avevo ormai fatto l’abitudine di trovare sul ciglio della strada i soldati o di vedere passare le camionette di soldati, urlanti e festanti e, quasi sicuramente, ubriachi. I loro sguardi nei miei confronti non erano molto amichevoli, per quanto non fossi certamente io un ribelle.

Un pomeriggio passai con la motocicletta dal mercato, per il mio consueto giro. Stavo percorrendo il tratto di terra rossa che mi separava un centinaio di metri dal mercato quando notai un ragazzino – poteva avere al massimo una decina di anni – che con le dita di una mano a forma di pistola, puntava contro di me. Ne fui terrorizzato, non tanto perchè mi sentissi in pericolo, quanto per il viso di quel ragazzino, feroce e cattivo al punto che pensai che fosse uno dei ribelli.

Nel primo compound, dove abitavo con il collega medico, una donna di colore faceva le pulizie e ci cucinava. La conoscevano molti degli espatriati, perchè era da anni che faceva questo servizio. Sapeva cucinare di tutto, dal cibo africano alla pizza. Tutte le mattine percorreva un sacco di chilometri a piedi, dalla sua baracca al nostro compound, portandosi sulla schiena il figlioletto più piccolo. Nel pomeriggio faceva il tragitto inverso. Nel suo tragitto e di notte era esposta al rischio della ennesima incursione dei ribelli, così proposi al mio capo di ospitarla nel nostro compound, ma mi fu negata questa possibilità per motivi così futili che non li ricordo nemmeno più.

Me ne rammaricai, mi arrabbiai molto, ma non potei farci nulla. Fu l’ennesima sconfitta umana della mia esperienza in Africa.

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