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Uccisa in Trentino Agita Gudeta, esule e imprenditrice etiope simbolo di integrazione

Era arrivata in Italia nel 2010, dopo essere fuggita dall’Etiopia insanguinata da un conflitto civile. Oggi Agitu Idea Gudeta, esule e imprenditrice,  la ‘regina delle capre felici’ come lei stessa amava definirsi, è stata ritrovata priva di vita  all’interno del suo appartamento al secondo piano di Maso Villata in Valle dei Mocheni in Trentino Alto Adige.

A ucciderla, secondo gli inquirenti, uno dei ‘ragazzi’ che cercava di aiutare, un giovane africano dipendente dell’azienda ‘La Capra Felice’, dove Agitu gestiva un allevamento di ovini in via di estinzione.
All’origine del delitto ci sarebbero dissidi per motivi economici.
La donna sarebbe stata colpita con un martello, rinvenuto dalla polizia scientifica che ha effettuato i rilievi sul posto.
Agitu era forte e appassionata e portava avanti con entusiasmo il suo lavoro. Per risolvere il problema dei lupi chiudeva le sue capre in un recinto su cui aveva montato delle lampadine colorate, azionate da un pannello solare, che si accendevano e spengevano a intermittenza. La sua storia le aveva insegnato che, più che dei lupi, bisognava aver paura di certi uomini, come quelli che la costrinsero a lasciare la natia Etiopia per il suo impegno contro il land grabbing.
Tornata in Trentino, dove aveva frequentato l’università, con grande determinazione ha recuperato un terreno di 11 ettari in abbandono e lo aveva valorizzato come pascolo incontaminato per il suo gregge di capre. Grazie alla passione ed alle conoscenze apprese dalla nonna materna Agitu allevava le capre e lavorava il latte con metodi tradizionali producendo formaggi, yogurt e creme cosmetiche: tutto a base di latte caprino.
Circa due anni fa, Agitu aveva ricevuto minacce e subito una aggressione a sfondo razziale: Sporca negra te ne devi andare”, secondo quanto riportato dalla stampa – dall’uomo che abita nella baita vicino all’abitazione della ‘pastora bio’.
Lo scorso gennaio, l’autore della violenza, che si era scagliato anche contro il casaro del Mali che aiutava Agitu, era stato condannato a 9 mesi per lesioni dal Tribunale di Trento, mentre l’accusa di stalking finalizzato alla discriminazione razziale era stata lasciata cadere, contrariamente a quanto aveva chiesto il pm.
Per questo episodio, in un primo momento, si era pensato che dietro all’omicidio potessero esserli motivazioni razziali.
Ma questa volta a colpire Agitu è stata una mano amica. O almeno che tale avrebbe dovuto essere.
La speranza, ora, è che il gran lavoro di questa energica imprenditrice non vada dispersa, che la comunità in cui operava e viveva non resti indifferente.

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