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Tunisia, il successo della “transizione” di Kaïs Saïed con il neo presidenzialismo

Lo strappo di Kaïs Saïed regge, ancora. Con il voto delle elezioni parlamentari, macchiate da una partecipazione estremamentebassa (meno del 9% degli aventi diritto) in linea con i pessimi risultati del referendum per la nuova costituzione, la Tunisia compie un altro passo verso il rafforzamento di un sistema neo-presidenziale. Da luglio 2021 a oggi, in un anno e mezzo, con il consenso della popolazione o per lo meno senza sostanziali opposizioni né interne né esterne – le ultime dichiarazioni del Portavoce del Dipartimento di Stato Usa Ned Prince rinnovano una cauta fiducia al Presidente – Saïed ha cambiato radicalmente il volto del paese nordafricano. Ha sciolto il vecchio parlamento a maggioranza Ennahda, ha rimosso magistrati legati al partito di ispirazione islamica, ha promosso una nuova Costituzione che, tra le altre novità, cancella la religione di stato (e non prevede l’impeachment).

La transizione di Saïed regge anche per le condizioni esterne. La Tunisia è un punto di passaggio obbligato delle rotte energetiche(il gasdotto che transita da Capo Bon) e migratorie e ogni fibrillazione potrebbe essere problematica; c’è, quindi, tutto l’interesse alla stabilizzazione del paese. La vera incognita, al netto delle riforme presidenziali, è la tenuta di un’economia già molto fragile, poco diversificata, con una moneta in caduta libera; intanto il decisivo prestito del FMI tarda ad arrivare.

Un Aventino senza esito. Le elezioni parlamentari erano fortemente contingentate a causa, tra gli altri, dell’introduzione del divieto di raccogliere fondi a mezzo dei partiti e di presentarsi in liste di partito introdotti per questa tornata. Stanti queste misure, le opposizioni hanno scelto di non partecipare ma, in questo modo, hanno anche decretato la propria quasi definitiva scomparsa; del resto, la crisi dei partiti vincitori della rivoluzione è conclamata da tempo. Il portavoce del comitato elettorale ha parlato di “voto modesto e non vergognoso” e ha ricondotto la scarsa partecipazione proprio all’assenza dei vecchi partiti e dei sistemi di voto di scambio a loro connessi. Visti i legami tra partiti islamici e Qatar, inoltre, è bene seguire gli sviluppi del Qatargate. Non solo, su 161 collegi uninominali chiamati al voto, almeno un centinaio torneranno alle urne a febbraio per il ballottaggio; le previsioni sulla composizione lasciano intendere che sarà marcatamente “civico”, composto da funzionari e tecnici. Ciò significa che il nuovo parlamento non entrerà in funzione prima dimarzo e questo sfasamento temporale concorre ulteriormente a svuotarlo di senso e a rafforzare il primato del Presidente. Insomma, ciò che pensavano di fare contro Saïed finisce per sostenerlo.

Fin dagli anni della stesura della nuova e ambiziosa Costituzione del 2014 per poi arrivare allo strappo del 25 luglio 2021 con il congelamento dell’assemblea in cui la maggioranza in mano aEnnahda nel luglio del 2021, il Presidente ha manifestato una profonda sfiducia verso il sistema parlamentare e dei partiti e sta lavorando per costruire un nuovo sistema politico, seppur con basi fumose. A riprova della sua antipolitica, la scelta di non formare ancora “un partito del presidente”, preferendo un appoggio civico da parte di comitati di cittadini. Una sorta di “populismo tecnico” quello del Presidente che sul piano politico sta ancorafunzionando.

La Tunisia evolve verso un sistema di governo “civico” e tecnico (Saïed e la premier Bouden vengono dall’università),senza la mediazione o addirittura la presenza dei partiti perché fortemente antipolitico (al momento regge solo il sindacato ovvero l’UGTT), un sistema neo-presidenziale con un’assemblealegislativa progettata una camera dei territori, composta dafigure non legate alla politica, che, invero, serve a registrare i bisogni o ancor meglio gli umori locali e delle municipalità; laTunisia sta andando verso una politica senza popolo, dove quest’ultimo è convocato saltuariamente, con strumenti che danno un’apparenza di partecipazione come i referendum (il caso emblematico è quello di luglio) e che hanno una funzione meramente confermativa rispetto alle scelte del potere; il suo disertare le urne oltreché vano testimonia l’assenza di un’alternativa. La Tunisia si conferma caso di studio per il mondo arabo e per il Mediterraneo ma offre anche spunti di riflessione sulle traiettorie del potere.

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