In Sudan, la guerra civile continua a devastare il paese, trasformando scuole, ospedali e infrastrutture in bersagli quotidiani. I civili sono vittime innocenti di una carneficina senza fine, intrappolati in un ciclo di bombardamenti e sparatorie che sembra non conoscere tregua. Un paese già segnato da decenni di conflitti si ritrova oggi più diviso e lacerato che mai, con milioni di persone sfollate e alla mercé di una brutale lotta per il potere.
La guerra scoppiata nell’aprile 2023 ha spinto il Sudan sull’orlo di una crisi umanitaria di proporzioni colossali. Il conflitto vede contrapporsi le Forze Armate Sudanesi (SAF) e le Forze di Supporto Rapido (RSF), una milizia paramilitare nata dalle ceneri delle tristemente note milizie Janjaweed, protagoniste dei massacri di Darfur. La violenza è esplosa improvvisamente, ma le tensioni tra i due gruppi erano già latenti da mesi, alimentate da una rivalità che affonda le sue radici nel tentativo di controllo del potere politico ed economico del paese.
Da un lato, il generale Abdel Fattah al-Burhan guida le Forze Armate con il sostegno di paesi come l’Egitto e l’Iran; dall’altro, il generale Mohamed Hamdan Dagalo, conosciuto come Hemedti, comanda le RSF, forti dell’appoggio degli Emirati Arabi Uniti e della complicità di potenze esterne come la Russia, che ha fornito armi in cambio del prezioso oro sudanese. La posta in gioco non è solo il controllo del Sudan, ma anche le sue risorse naturali e la sua posizione strategica nella regione del Corno d’Africa e del Sahel.
La battaglia si è intensificata nella capitale Khartoum e nella regione occidentale del Darfur, teatro di violenze etniche che ricordano gli orrori del passato. Gli attacchi indiscriminati contro i civili, i saccheggi e le esecuzioni sommarie hanno devastato le comunità locali, mentre le RSF sono accusate di crimini di guerra e violenze sessuali sistematiche, in particolare contro le minoranze etniche. Le forze armate sudanesi, da parte loro, non sono esenti da colpe: i bombardamenti indiscriminati hanno distrutto abitazioni, ospedali e mercati, costringendo milioni di persone alla fuga.
Questa guerra ha generato uno degli esodi di massa più drammatici al mondo. Oltre 8 milioni di sudanesi hanno lasciato le loro case, cercando rifugio nei paesi vicini come Egitto, Chad e Sud Sudan. All’interno del paese, la situazione è ancora più disperata: 25 milioni di persone, più della metà della popolazione, soffrono la fame. Le organizzazioni umanitarie, pur presenti sul campo, faticano a portare aiuti a causa dei continui attacchi e delle barriere burocratiche imposte dalle fazioni in lotta.
Il Sudan, un tempo ricco di storia e cultura, è diventato un campo di battaglia dove la disperazione regna sovrana. Le scuole, che dovrebbero essere rifugi sicuri per i bambini, sono spesso bersagli di bombardamenti o trasformate in ripari di fortuna per gli sfollati. L’Unicef denuncia che milioni di bambini sono stati privati del diritto all’istruzione e migliaia di loro hanno perso la vita o sono rimasti feriti a causa del conflitto.
Nonostante gli sforzi internazionali per negoziare un cessate il fuoco, il conflitto sembra lontano dalla conclusione. I tentativi di mediazione da parte degli Stati Uniti e dell’Arabia Saudita, così come i colloqui di pace organizzati in Svizzera, non hanno ancora portato a risultati concreti. Da Ginevra, Tom Perriello, inviato speciale degli Stati Uniti per il Sudan, ha sottolineato l’urgenza della situazione, dichiarando: “È giunto il momento di mettere a tacere le armi”.
Dopo i precedenti tentativi di negoziati, come i colloqui falliti di Gedda in Arabia Saudita, i paramilitari delle RSF hanno accettato di partecipare a questo nuovo ciclo di trattative a Ginevra, mentre l’esercito ha deciso di non presentarsi. Secondo il segretario di Stato americano Antony Blinken, l’obiettivo prioritario dei colloqui è “raggiungere la cessazione delle violenze in tutto il Paese, consentire l’accesso umanitario a tutti coloro che ne hanno bisogno e mettere in atto un solido meccanismo di monitoraggio e verifica per garantire l’attuazione di un eventuale accordo”.
Intanto, la violenza continua a imperversare, alimentata da interessi esterni che vedono nel Sudan una pedina strategica in una più ampia lotta di potere regionale.
Mentre il mondo volge lo sguardo altrove, all’invasione russa dell’Ucraina o la tragica situazione a Gaza, il Sudan rischia di sprofondare ulteriormente nel caos. La speranza di una transizione verso la democrazia, nata dopo la cacciata del dittatore Omar al-Bashir nel 2019, sembra ormai un ricordo lontano. Il futuro del Sudan appare sempre più incerto, con milioni di persone intrappolate in un incubo che non sembra destinato a finire presto.