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Sudan, transizione democratica fragile a due anni dal golpe mentre riesplode il Darfur

Due anni fa, alle prime luci dell’alba, l’esercito faceva irruzione nel palazzo presidenziale a Khartoum e poneva fine all’era di Omar Hassan al-Bashir.  Trent’anni di regime sanguinario scardinati da quattro mesi di proteste di massa che repressioni e violazioni dei diritti umani perpetrate dagli uomini dell’apparato di sicurezza sudanese non erano riuscite a fermare.

Il Sudan, da quel giorno, ha iniziato un lungo e difficile percorso di transizione, passando per una Giunta militare, la costituzione di un Consiglio Sovrano e infine il governo civile guidato dall’economista Abdallah Hamdok.
Due anni dopo le cose in Sudan vanno peggio di quanto sì fosse sperato.
L’infrastruttura di base è crollata, l’elettricità è fuori servizio per gran parte della giornata e l’approvvigionamento idrico è instabile.
chi vive lontano dalla capitale non beve acqua per settimane.
E poi c’è la pandemia.
Il Sudan, alle prese con l’emergenza Covid 19, ha visto aggravarsi la crisi economica. Il Paese appare più fragile che mai.
Un sistema sanitario al collasso, operatori sanitari alle prese con un carico di lavoro insostenibile, ospedali e altre strutture di assistenza sovraffollati, mancanza di dispositivi di protezione individuale, il quadro dell’emergenza pandemica è devastante.
Il principale problema, oltre all’esposizione crescente al contagio, è l’inadeguatezza delle misure di prevenzione e di contenimento delle infezioni.

Dai dati diffusi dall’Organizzazione Mondiale della Sanità i più esposti alla malattia sono i giovani.
Sono loro i principali ‘veicoli della diffusione del virus.
Se l’emergenza sanitaria rappresenta un elemento di instabilità per il governo sudanese, la transizione democratica rimane fragile anche a causa del perdurare della crisi economica e delle proteste per il malcontento diffuso tra la popolazione sia per la lentezza delle riforme che per le violenze riprese in Darfur, regione occidentale del Sudan.
Con questi presupposti non è esclusa la possibilità di un colpo di stato militare, nonostante l’impegno comune nella transizione di una componente civile è una rappresentanza di generali.
Secondo l’accordo firmato dalla giunta subentrata a Bashir e i manifestanti, la guida del Paese per i primi 21 mesi spettava ai militari che a breve dovrebbero cedere il passo ai civili.
Ma la tensione che si respira a Khartoum non prelude a nulla di buono.
Intanto, in Darfur, sono ripresi gli scontri tra la comunità araba dei rizeigat e quelli della comunità masalit, che chiedeva giustizia per l’uccisione di due esponenti di quest’ultima.
Si tratta delle peggiori violenze dalla firma tra le autorità sudanesi e i gruppi armati nell’agosto scorso.
Molte case sono state incendiate e migliaia di persone sono state costrette a fuggire. Il bilancio al momento è di oltre 150 morti e 300 feriti.
A confermare la gravità della situazione l’Onu. L’ultimo presidio ancora sul terreno è stato testimone delle nuove violenze nello stato del Darfur occidentale.
L’Alto commissariato dell’Onu per i Diritti umani (Ohchr) ha chiesto indagini indipendenti, aggiungendo che i responsabili degli abusi devono essere chiamati a renderne conto aggiungendo che le tribù coinvolte dell’ultimo massacro devono essere disarmate. “Siamo sconvolti dalla recente ripresa delle violenze tra Masalit e tribù arabe a el-Geneina” ha dichiarato la portavoce di Ohchr, Marta Hurtado, “Siamo anche turbati dal lento progresso nell’assicurare che si risponda di queste violenze e delle precedenti, nonostante i ripetuti appelli delle vittime e delle loro famiglie” ha aggiunto.
Il governatore del Darfur occidentale, Mohamed Abdallah Douma, durante una conferenza stampa a Khartoum ha fornito il quadro della situazione parlando delle ragioni di contratto tra Masalit, prevalentemente agricoltori, e le tribù arabe composte per lo più da pastori.
Le violenze tra le comunità sono dovute a dispute su terra, pascoli e acqua.
Hurtado ha ricordato che lo scoppio degli scontri è stato lo scorso 3 aprile nella capitale del Darfur occidentale, El Geneina, con l’uccisione di due uomini di etnia Masalit, cui sono seguiti combattimenti più ampi all’interno della città e nei suoi dintorni.
Durante gli scontri è stata distrutta una centrale elettrica, un’ambulanza è stata attaccata e una granata ha colpito un ospedale. Inoltre sono stati dati alle fiamme i campi per sfollati di Hajjaje di Abuzei.
La situazione nell’area è stata ulteriormente destabilizzata dall’invio delle milizie filogovernative dopo che il governo ha dichiarato lo stato di emergenza.
Il Coordinamento dei campi profughi ritiene il governo di transizione responsabile degli attacchi contro i civili.
La componente civile del Consiglio sovrano chiede di riformare le forze armate e di sicurezza.
Ma i militari non sembrano disposti a cedere il potere rischiando di compromettere la transizione democratica in Sudan che dovrebbe culminare con il voto nel 2022.

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