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Sudan, quattro donne nel nuovo governo. Inizia l’era del dopo Bashir

Il neo premier del Sudan, Abdalla Hamdok, ha ufficializzato il primo governo del dopo-Bashir, di cui Focus On Africa aveva pubblicato ampie anticipazioni.
Un passo importante nella transizione conquistata duramente dal Paese: un governo civile dopo decenni di regime autoritario.
L’annuncio, trasmesso in diretta tv, è giunto dopo giorni di rinvii dello stesso primo ministro che ha voluto esaminare con particolare attenzione la lista dei candidati proposti dalle ‘Forze per la libertà e il cambiamento’, capofila delle proteste che hanno portato alle dimissioni del presidente Omar Hassan al-Bashir.
Nato nel 1956 nella provincia centrale del Kordofan, Hamdok ha conseguito il dottorato di ricerca in studi economici presso l’Università di Manchester, nel Regno Unito, e negli anni ’90 ha lavorato come capo consulente tecnico presso l’Organizzazione internazionale del lavoro nello Zimbabwe e successivamente è stato IL principale economista politico presso la Banca africana di sviluppo in Costa d’Avorio. Hamdok ha inoltre ricoperto l’incarico di vicesegretario esecutivo della Commissione economica delle Nazioni Unite per l’Africa dal novembre 2011.
Del nuovo esecutivo composto da 18 ministri, fanno parte anche 4 donne tra cui Asmaa Mohamed Abdallah alla quale è stata affidata una delle cariche più importanti, quella di ministro degli Esteri.
La Abdallah è la prima donna nella storia del Paese ad assumere un incarico così autorevole. Arrestata e trattenuta in carcere prima della caduta del regime, è stata una leader delle rivolte.
Il dicastero della Difesa è andato invece a Jamal Omar, militare di lungo corso pur senza aver ricoperto ruoli di primissimo piano, elemento che ne denota la distanza dagli ambienti collusi con il vecchio regime. Il dicastero dell’Interno è stato affidato al generale Idriss al-Traifi, entrambi sono stati indicati dalla componente militare del Consiglio Sovrano, che affiancherà l’esecutivo.
Alla guida del ministero delle Finanze il premier ha indicato un suo uomo di fiducia, Ibrahim Elbadawi, ex economista della Banca mondiale.
Nel decidere la lista dei ministri proposti dal movimento di protesta, Hamdok aveva subito assicurato che avrebbe scelto i tecnocrati in base alla loro “competenza” per guidare il Sudan attraverso diverse sfide che includono anche la fine dei conflitti interni.
Ancora molti i fronti aperti. Formazioni ribelli delle regioni emarginate, tra cui il Darfur, il Nilo azzurro e lo stato del Kordofan meridionale, hanno condotto lunghe guerre contro le forze di Bashir e ancora non si fidano del nuovo corso.
L’accordo di condivisione del potere mira a raggiungere la pace con i gruppi armati che non accettano la presenza dei generali Burhan e Dagalo nel Consiglio sovrano. Entrambi sono ritenuti collusi con il regime di Bashir e responsabili di crimini contro la popolazione delle regioni in cui sono state utilizzate le milizie filo governative per sedare rivolte e contestazioni.
Il Consiglio sovrano (composto da 6 civili e 5 militari) è frutto dell’accordo firmato il 17 agosto dalla Giunta militare di transizione, che era subentrata a Bashir, e dai leader delle ‘Forze per la libertà e il cambiamento’ che avevano portato alle dimissioni dell’ex presidente.
L’intesa delinea un periodo di transizione che durerà poco più di tre anni e traghetterà il Paese alle sue prime elezioni democratiche.
Tra le prime sfide del governo, risollevare l’economia di un Paese che ha subito due decenni di sanzioni statunitensi. Nei giorni scorsi, lo stesso premier aveva chiesto a Washington di togliere il Sudan dalla lista dei Paesi che sponsorizzano il terrorismo.
Hamdok sembra soddisfatto, anzi entusiasta, della sua squadra soprattutto per aver rispettato il più possibile l’impegno a garantire “l’equilibrio di genere”.
Il premier ha voluto che ci fosse anche parità nella rappresentanza di tutti gli Stati che compongono il Sudan.
Intanto la stabilità politica e sociale verso cui il Sudan si starebbe avviando comincia a conquistare consensi dalla comunità internazionale.
Tra i primi a far arrivare al neo premier i propri auguri di buon lavoro il presidente francese Emmanuel Macron che lo ha invitato a Parigi per discutere le future relazioni tra i due Paesi e offrire il sostegno della Francia al governo di transizione.
Durante i 39 mesi previsti nel periodo di transizione sarà necessario riformare le istituzioni statali, combattere
la corruzione, costruire uno stato trasparente ed equo, sviluppare relazioni esterne distese e un’equa
rappresentanza delle donne nelle istituzioni.
Un impegno arduo, un percorso che porti a una democrazia compiuta che possa nel 2022 affrontare consapevolmente le prime elezioni libere dal 1986.
Inshallah.

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