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Sudan, nuove repressioni contro i manifestanti. Il racconto di un giornalista

È stata una nuova giornata di repressioni e violenze a Khartoum ma le proteste del popolo in Sudan non si fermano.
Le “Forze di supporto rapido” hanno di nuovo usato i gas lacrimogeni per disperdere la manifestazione organizzata dalla Sudanese professionals association nel centro di Khartoum, a poche centinaia di metri dal palazzo presidenziale.
Il bilancio delle vittime dall’inizio delle proteste è salito a 50 morti e oltre 250 feriti, molti in condizioni gravi.
Tra le persone fermate e picchiate dai miliziani anche un giornalista Ali Farsab.
“Stavo seguendo una manifestazione nel quartiere di Bahri quando hanno iniziato a sparare. Io sono stato sfiorato da un proiettile alla testa. Mi sono arrivati addosso in quattro, mi hanno picchiato e arrestato” racconta Farsab, redattore del quotidiano indipendente locale Al-Tayar, tornato a casa dopo una settimana di detenzione.
“Mi hanno rotto la clavicola e spezzato le dita. Mi hanno trattenuto per quattro giorni prima di permettermi di essere assistito dai medici”’.
Sono state ore di paura per gli amici e i familiari di Ali che hanno assistito al pestaggio ma non sapevano dove fosse stato portato dopo il fermo.
Gli agenti lo hanno trattenuto nella stazione di polizia Murqin fino a quando le autorità giudiziarie hanno disposto che venisse trasferito in ospedale.
“Il pestaggio di Ali Farsab da parte delle forze di sicurezza sudanesi dimostra che il presunto impegno del governo golpista per una fase di transizione democratica nel paese è una presa in giro” ha affermato Sherif Mansour, coordinatore del programma del Comitato di protezione dei giornalisti per il Medio Oriente e il Nord Africa denunciando che almeno 18 tra reporter e cameramen siamo stati arrestati dal 25 ottobre, giorno del colpo di stato dei militari, ad oggi.
“Le autorità devono rilasciare immediatamente e incondizionatamente tutti gli operatori dell’informazione in carcere e garantire che i membri della stampa possano lavorare in sicurezza senza timore di essere attaccati dalle forze di sicurezza” la richiesta del Cpj.
Intanto il popolo sudanese continua a protestare contro l’accordo raggiunto tra i militari e il premier Abdalla Hamdok, ripristinato dopo 26 giorni di arresti domiciliari.
Intesa rigettata dalle Forze della libertà e del cambiamento che continuano a ribadire il loro più determinato “no” a quello che definiscono il “governo del tradimento”.
Sembra. dunque, ancora lontano il varo di un nuovo esecutivo Hamdok che affianchi il Consiglio sovrano guidato dal generale Abdel Fattah al-Burhan, leader dei golpisti, che deve fare i conti con le rivolte in altre città sudanesi, da Kassala a Gadaref, da Port Sudan al Darfur, dove le violenze in corso da settimane hanno causato non meno di 300 morti, la distruzione di 18 villaggi con oltre 1000 abitazioni date alle fiamme e 30 mila sfollati che si sono rifugiati in Ciad.
Il tutto mentre nel paese regna l’impasse politica.
Il primo ministro non riesce a ristabilire la calma nonostante abbia rimosso i governatori statali nominati da Burhan dopo il golpe.
Le Fprze della libertà e del cambiamento hanno annunciato altre proteste, chiedono ai militari di lasciare il potere e che a guidare la transizione fino alle elezioni previste nel 2023 siano solo i civili.


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