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Sudan, l’ex presidente Bashir sarà consegnato alla Corte penale internazionale

La decisione è arrivata oggi, contro tutte le previsioni e i proclami della prima ora: Omar al-Bashir, il presidente dittatore che per oltre 30 anni ha vessato il suo popolo in Sudan, sarà estradato per essere consegnato alla Corte penale internazionale dell’Aja, dove dovrà rispondere delle accuse di crimini di guerra e contro l’umanità e genocidio commessi in Darfur.
Deposto con il golpe dell’11 aprile del 2019, Bashir ha armato le milizie che hanno causato dal 2003 a oggi almeno 300 mila vittime nella regione sudanese che reclamava autonomia.
Il via libera del Consiglio sovrano del Sudan riporta alla memoria quanto dichiarato all’indomani del colpo di Stato consumatosi dopo quattro mesi di proteste di piazza. Destando non poco clamore, i militari promisero ai manifestanti che mai avrebbero estradato al-Bashir, nonostante la pesante accusa di genocidio per la campagna contro i ribelli in Darfur, una delle nove province storiche del  Sudan da sempre discriminata da Khartoum e contro la quale l’ex dittatore usò il pugno di ferro, con una repressione costata la vita a centinaia di migliaia di persone e causando lo sfollamento di 2,7 milioni di sfollati.
Estradare al-Bashir subito dopo il colpo di Stato, come chiesto dai suoi oppositori, sarebbe stato un “brutto marchio” per il Sudan  secondo il generale Omar Zein Abedeen, alto esponente della giunta militare responsabile per gli aspetti politici della transizione. Abedeen escluse l’estradizione anche per i ribelli, prospettando la possibilità che la consegna alla Corte dell’Aja potesse essere decisa da un futuro governo civile.
E invece ecco arrivato il cambio di passo, non l’unico segnale lanciato da un Paese che, con una serie di mosse, sembra volersi affrancare dalla sua storia più recente.
Proprio ieri il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres aveva aperto il vertice annuale dei leader dell’Unione africana, svoltosi ad Addis Abeba, affermando che fosse ormai tempo di rimuovere il Sudan  dall’elenco degli Stati sponsor del terrorismo. Lista nera in cui il Paese africano è finito dopo aver dato rifugio al leader di al-Qaida Osama bin Laden.
Un’esortazione arrivata a stretto giro dall’incontro svoltosi all’inizio del mese in Uganda tra il generale Abdel Fattah al-Burhan, capo del consiglio sovrano del Sudan, e il primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu, che in un tweet in ebraico aveva scritto di essere pronto ad avviare una cooperazione che normalizzerà le relazioni tra i due Paesi. Il Paese con alla guida al-Bashir era considerato uno dei nemici giurati di  Israele e il suo governo accusato di aver contribuito ad armare Hamas.

Per un Sudan che ambisce a rientrare nel consesso internazionale, stabilendo nuovi contatti con l’Europa e con gli Stati Uniti, diventa inconciliabile proteggere un uomo accusato di crimini così efferati come il genocidio. Omar al-Bashir può essere sacrificato. Ciò che però davvero conta e che per il popolo del Darfur, le vittime e i familiari che chiedono da 17 anni che il responsabile delle atrocità commesse dai’diavoli a cavallo’, i janjaweeed, la giustizia non sia più un miraggio.

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