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Speciale Sudan

Sudan, la guerra dimenticata: il collasso sanitario, l’impasse diplomatica, l’inazione e il silenzio globale

Analisi di un conflitto che si inserisce in un contesto di povertà endemica, carestia, corruzione diffusa, paralisi delle strutture sanitarie e pessima gestione dei cambiamenti climatici

La guerra civile in Sudan, scoppiata il 15 aprile 2023 tra le Forze Armate Sudanesi, guidate dal generale Abdel Fattah Abdelrahman Burhan, e le Rapid Support Forces (RSF) di
Mohamed Hamdan Dagalo, ha provocato finora oltre 150.000 morti (anche se non sono cifre accertate da organi internazionali), 2 milioni di rifugiati e 12 milioni di sfollati interni.
Le aree maggiormente colpite sono la capitale Karthoum e le regioni del Darfur e del
Kordofan, ma le violenze si estendono anche ad altre zone del Paese. Si tratta di un conflitto  che affonda le sue radici nei primi anni del 2000 e che coinvolge i giacimenti petroliferi del  Sud Sudan e la secessione di quest’ultimo, che ha portato la costituzione di un nuovo Stato in  Africa nel 2011.
È un conflitto che si inserisce in un contesto di povertà endemica, carestia, corruzione diffusa, paralisi delle strutture sanitarie e pessima gestione dei cambiamenti climatici, tutte condizioni che fanno sì che la popolazione sudanese non muoia solo sotto i colpi delle armi, ma anche  per fame, sete e malattie.
Sul piano diplomatico, siamo di fronte ad una situazione di stallo: dopo il fallimento dei
colloqui tra le fazioni a Jeddah nel 2023, e nonostante i negoziati di pace avviati a Nairobi nel giugno 2024, non si è ancora riusciti a trovare una soluzione duratura. “La portata
dell’emergenza è scioccante, così come l’insufficiente azione intrapresa per limitare il
conflitto e rispondere alle sofferenze che sta causando”, ha dichiarato il direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) Tedros Adhanom Ghebreyesus, durante una  conferenza stampa a Port Sudan, nel corso di una visita di due giorni nel Paese subsahariano.
“Il Sudan non riceve l’attenzione che merita” – ha sottolineato poi Tedros.
E allora ci si chiede cosa stiano facendo l’Unione Europea, l’ONU, l’Unione Africana e gli
altri attori internazionali di fronte a tutto ciò. Purtroppo, gli sforzi finora restano buoni
propositi gridati al vento: l’Unione Europea ha promesso 2 miliardi di euro per fronteggiare
l’emergenza umanitaria. L’ONU sta tentando di sbloccare gli aiuti umanitari e il transito di
cibo e medicinali, ma anche il trasporto di attrezzature essenziali è diventato pericoloso e  molti operatori sanitari hanno lasciato il Paese.
A tutto ciò si aggiunge una triste indifferenza da parte dei media. Accendiamo la televisione,
apriamo i social network e raramente vediamo immagini, video o reportage che documentino  la tragedia che si sta consumando in Sudan. Probabilmente la ragione di questo silenzio sta nella distanza geografica rispetto ai più vicini conflitti a Gaza o in Ucraina, oppure nella percezione che la guerra in Sudan sia una delle tante in Africa, e per questo motivo considerata quasi “normale” o meno devastante rispetto alle altre. Ma è una percezione errata.
I media non ne parlano, eppure si tratta di un conflitto che ha dei risvolti geopolitici,
economici e strategici di notevole importanza anche per noi. Perché?
Innanzitutto, lo Stato africano è il terzo più esteso del continente, con oltre 30 milioni di abitanti. Confina con l’Egitto, e quindi con il Mediterraneo, con il Ciad e il Sud Sudan, ed è
bagnato dal Mar Rosso, zona di intense tensioni internazionali. In ragione di ciò, il Sudan,
ponte tra Africa e Medio Oriente, e la sua situazione politica interna, giocano un ruolo
cruciale di mantenimento del fragile equilibrio dell’intera regione nord-orientale dell’Africa.
Inoltre, il Sudan è ricco di risorse naturali, come l’oro delle miniere di Meroe, utilizzate come
avamposto strategico dalla Russia e sfruttate in particolare dal gruppo paramilitare Wagner.
L’oro sudanese inoltre è importato dagli Emirati Arabi Uniti (UAE), l’attore straniero che
maggiormente sostiene le RSF, seguito dalla Libia del maresciallo Khalifa Haftar. Sul fronte opposto, invece, c’è l’Egitto e, meno direttamente, l’Arabia Saudita e l’Iran, che sono
intenzionati a consolidare la loro influenza nella regione contro i rivali Emirati Arabi Uniti,
bloccando di conseguenza gli sforzi di pace e ostacolando dal principio la transizione
democratica del Paese.
Gli interessi egoistici dei singoli stati stanno rendendo il conflitto ancora più devastante.
Dopo diciassette mesi di guerra, un cessate il fuoco appare ancora tragicamente lontano,
mentre milioni di persone continuano a morire o a fuggire dalle proprie case. Il Sudan sembra essere ormai una terra abbandonata e dimenticata dai governi, dai media e dall’opinione pubblica. Fermare la catastrofe umanitaria è indispensabile per arginare il suo impatto sulla
popolazione, ed è necessario un impegno attivo e concreto da parte di tutti.
Fonti:
Nicolini, B., Il Sudan sull’orlo dell’apocalisse: la guerra civile che destabilizza la regione ,
2024;
Podcast Globally: Sudan, la guerra che il mondo ha dimenticato, 13 settembre 2024;
www.africarivista.it , Sudan, “La fame è quasi ovunque”, 2024.
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